venerdì 28 febbraio 2014

Amianto killer all’Ilva, chiesti 4 anni per Emilio Riva, il figlio ed ex direttore Disastro ambientale e omicidio colposo. Queste le accuse contro i vertici dello stabilimento di Taranto, responsabili, secondo la procura, della morte degli operai per mesotelioma pleurico



Quattro anni e sei mesi di reclusione. È la nuova richiesta di condanna formulata dal pubblico ministero Raffaele Graziano nei confronti di Emilio Riva, 87enne ex patron dell’Ilva di Taranto, del figlio Fabio e dell’ex direttore della fabbrica Luigi Capogrosso. Disastro e omicidio colposo sono i reati contestati dalla procura di Taranto ai tre soggetti già travolti dall’inchiesta “ambiente svenduto” e ad altri 26 imputati (per i quali sono state chieste condanne tra i 2 e i 9 anni di reclusione), tutti ai vertici dello stabilimento siderurgico di Taranto dal 1975 al 1995, cioè dalla gestione statale come Italsider fino a quella privata in mano alla famiglia lombarda. A rischiare la condanna anche Giorgio Zappa, direttore generale dell’ex Italsider poi passato a Finmeccanica, Francesco Chindemi attuale amministratore delegato della Lucchini.
La sentenza del processo, prevista per il 23 maggio prossimo, dovrà fare luce sulla morte di 21 operai deceduti tra il 2004 e il 2010 per mesotelioma pleurico dovuto, secondo l’accusa, all’ingente presenza di  fibre d’amianto presenti all’interno della fabbrica. Per la procura di Taranto, gli imputati omettevano “di adottare cautele che secondo l’esperienza e la tecnica sarebbero state necessarie a tutelare l’integrità fisica” dei dipendenti oltre “ad altre adeguate misure di prevenzione ambientali e personali” per ridurre la diffusione di polveri dannose. Gli operai, quindi, sarebbero stati “ripetutamente esposti ad amianto durante lo svolgimento di attività lavorative” tanto, secondo l’accusa, da ammalarsi mortalmente.
“Questo lungo dibattimento – ha spiegato il pm Graziano durante la sua requiesitoria – rappresenta uno spaccato della vita della comunità tarantina. È una vicenda che mostra le gravi violazioni avvenute in fabbrica in materia di  sicurezza in fabbrica”. Il magistrato ha ricordato gli esiti delle maxi perizie dell’inchiesta “ambiente svenduto” che hanno certificato la situazione “allarmante” vissuta da operai e cittadini. Le indagini dell’Arpa secondo il pubblico ministero hanno dimostrato la “sostanziale compromissione della salute operai” ed evidenziato come tra nei primi anni ’90 nel capoluogo ionico vi fosse già un tasso di mortalità per mesotelioma pleurico nettamente maggiore rispetto al resto della Puglia. “È possibile pertanto ritenere – si legge nelle conclusioni di un documento a firma di Lucia Bisceglia, dirigente dell’Arpa Puglia – che i soggetti che hanno prestato servizio presso lo stabilimento siderurgico di Taranto e che risultano registrati nell’archivio Inps nel periodo 1974-1997 mostrano un rischio di morire per mesotelioma pleurico pari a più del doppio rispetto a soggetti confrontabili per sesso, classe quinquennali di calendario e di età della regione Puglia”.
In aula anche il procuratore capo Franco Sebastio che nella sua breve discussione ha mostrato la prima sentenza di condanna dell’Italsider datata 1982. “È un ciclo che si ripete – ha spiegato Sebastio –, ma a differenza di allora, oggi sento parlare di ‘tenere insieme salute e lavoro’, ma ancora no ho trovato nessuno in grado di spiegare come si fa. La speranza – ha concluso il capo della procura – è che questa sentenza possa rappresentare una risposta a questo interrogativo”.

Stop alla frutta sui marciapiedi L’appello dei nostri lettori all’indirizzo del comandante dei vigili Michele Matichecchia: dovete sanzionare chi espone all’aperto

TARANTO - “Bene la lotta all’abusivismo ma si deve sanzionare anche chi espone la merce sui marciapiedi”.
L’intervista al comandante della Polizia Locale, Michele Matichecchia (nella foto), pubblicata nell’edizione di mercoledì di Buonasera Taranto, ha suscitato non pochi commenti tra i tarantini.
Nei giorni scorsi, la rivolta del mercato Fadini ha riaperto il dibattito sulle difficili condizioni di lavoro degli ambulanti ed in generale dei commerciantiò. Furti, accattonaggio e parcheggi, le rivendicazioni che sono tornati di stretta attualità lunedì mattina quando ambulanti e negozianti della storica area mercatale di via Principe Amedeo, hanno deciso di non allestire le bancarelle. Hanno incontrato gli assessori a Lavori Pubblici (Lucio Lonoce) e Attività produttive (Cisberto Zaccheo) per chiedere più controlli.
Il comandante dei vigili urbani, ha garantito controlli pressanti per arginare i reati predatori e, sull’abusivismo, ha spiegato che “la sola repressione non serve.
Bisogna iniziare ad assegnare gli spazi nei mercati. Al Fadini ce ne sono tanti vuoti. Ecco, credo sia giunto il momento di dare la possibilità agli abusivi di regolarizzare la loro attività. Tutto, ovviamente, deve essere fatto rispettando la legge”.
Proprio riguardo all’abusivismo commerciale, un nostro lettore lancia un appello al comandante Matichecchia: “ben vengano i controlli nei mercati e nelle strade contro i venditori abusivi, i fenomeni dei furti e dell’accattonaggio, ma vorrei ricordare al comandante che una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, precisamente la n.6108 dello scorso 10 febbraio, vieta l’esposizione anche ai commercianti di frutta e verdura, di merce sui marciapiedi. Infatti, la loro esposizione all’aperto, e quindi agli agenti atmosferici, ne rende pericoloso il consumo”.
“In questo modo, oltre a tutelare maggiormente la salute dei consumatori, si vanno a liberare finalmente i marciapiedi. Il cittadino non è più costretto a fare lo slalom fra cassette di frutta, pali della luce o della segnaletica stradale. Inoltre si facilita il passaggio alle mamme con i loro carrozzini e, ancor di più, si facilita il passaggio alle persone purtroppo costrette su sedie a rotelle. Sono certo della solerzia del comandante della Polizia locale, Matichecchia, nel voler far rispettare le leggi”. TARANTOSERA

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giovedì 27 febbraio 2014

Cosimo Motolese ucciso in agguato in strada a Taranto

TARANTO - Cosimo Motolese è stato ucciso la sera del 27 febbraio in un agguato in strada a Taranto, al rione Paolo VI. Motolese, 55 anni, è stato raggiunto da due killer che hanno esploso contro di lui diversi colpi di pistola. L’uomo, che aveva precedenti penali, è morto un’ora dopo il ricoveroin ospedale.
Secondo una prima ricostruzione, i proiettili lo hanno raggiunto alla testa e in altre parti del corpo. I carabinieri intervenuti sul posto hanno eseguito i rilievi e avviato le indagini per cercare di risalire all’identità dei sicari e stabilire il movente.L’agguato è avvenuto davanti all’ingresso dell’abitazione dell’uomo, in via Della Liberazione. I killer hanno sparato numerosi colpi di pistola. Trasportato da un’ambulanza del 118 in ospedale, l’uomo è morto a causa delle gravi lesioni riportate.
Motolese era tornato in libertà alcune settimane fa dopo un periodo di carcerazione. Nel febbraio del 2011 all’interno del suo appartamento furono rinvenute armi e munizioni. Sul luogo dell’agguato sono intervenuti polizia e carabinieri. .

Ecuador, accordo segreto con banca cinese per estrarre petrolio in Amazzonia La negoziazione scoperta dal Guardian manderebbe a monte anni di lotte ambientaliste e per i diritti degli indigeni. Il parco di Yasuni infatti è uno dei posti dove sono presenti maggiori biodiversità e dove alcune comunità indigene vivono in “volontario isolamento". Ma il petrolio è essenziale per le finanze del paese

Il governo ecuadoriano sta negoziando un accordo da un miliardo di dollari con una banca cinese. Vogliono estrarre il petrolio in un parco nazionale all’interno della foresta amazzonica. Un accordo segreto scoperto dal Guardian che manderebbe a monte anni di lotte ambientaliste e per i diritti degli indigeni. Il parco di Yasuni infatti è uno dei posti dove sono presenti maggioribiodiversità e dove alcune comunità indigene vivono in “volontario isolamento”.  
L’area si trova all’estremità orientale dell’Ecuador, a 250 chilometri dalla capitale Quito, e si estende per poco meno di 10mila kmq nella foresta pluviale in Amazzonia. Nel 1989 è stato nominato dall’Unesco riserva della biosfera. Qui oltre a innumerevoli specie di piante e animali vivono due tribù che per scelta hanno rifiutato ogni contatto con la modernità: i Tagaeri e i Taromeane. Quando nel 2007 vi sono stati individuati giacimenti di petrolio stimati a 800 milioni di barili (il 20 per cento delle riserve ecuadoriane), il presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha provato a salvare quel pezzo di foresta fluviale con un piano unico e ambiziosissimo. Voleva che i paesi ricchi pagassero almeno la metà di quello che avrebbe generato la vendita del petrolio in dieci anni, cioè 3,6 miliardi di dollari. Purtroppo ad agosto dell’anno scorso ha dovuto constatare di aver fallito. I fondi raccolti erano pari solo a 13 milioni di dollari, quindi Correa ha dovuto abbandonare il progetto promettendo però che avrebbe trivellato solo nell’un per cento del parco.  
Il documento reso pubblico dal quotidiano inglese dimostra come invece il governo ecuadoriano stava già segretamente negoziando con China Development Bank. L’accordo prevede un primo investimento di quest’ultima di “almeno un miliardo di dollari” che andranno direttamente al “ministero delle finanze o a altra entità decisa dal governo ecuadoriano”. Un’iniziativa che getta un’ombra su tutta l’operazione precedentemente portata avanti da Correa. “Mentre cercava i donatori, il governo stava già cercando di vendere il petrolio alla Cina” denuncia Atossa Soltani, dell’ong Amazon Watch e precedentemente ambasciatrice della cosiddetta iniziativa Yasuni. Il documento infatti riporta il nome ministro delle politiche economiche ecuadoriano in ogni pagina, e nomina un accordo preliminare avvenuto tra il 13 e il 23 maggio 2009. C’è anche una clausola in cui si afferma che “la parte ecuadoriana farà quanto nelle sue possibilità per aiutare PetroChina eAndes Petroleum” ad esplorare le tre riserve petrolifere all’interno del parco.  
L’implosione dell’iniziativa Yasuni ha avuto un effetto devastante sul morale degli ambientalisti, che speravano non solo di tutelare le biodiversità presenti nel parco dall’inquinamento, ma avevano creduto che l’iniziativa potesse essere un modello percorribile ed imitabile da altri stati. Aiutare economicamente le nazioni più povere a resistere alla tentazione dello sfruttamento del carburante fossile poteva fornire una nuova strada da percorrere nella lotta ai cambiamenti climatici. Un sondaggio dimostra come una fetta tra il 78 e il 90 per cento degli ecuadoriani sono contrari al trivellamento nella regione e gli attivisti si sono già attivati per raccogliere 600mila firme entro il 12 aprile per promuovere un referendum che blocchi le trivellatrici. Ma il petrolio èessenziale anche per le finanze dell’Ecuador. Il paese produce già 538mila barili al giorno, la metà dei quali è venduta agli Stati Uniti. 
di Cecilia Attanasio Ghezzi 

Caso Ilva Taranto: Londra dice si all'estradizione di Fabio Riva

Nuovi sviluppi nel Caso Ilva con riferimento all'inchiesta per disastro ambientale imputata al colosso siderurgico Ilva installato nella provincia di Taranto. Gli indagati principali nell'inchiesta sono alcuni membri della famiglia Riva, proprietari del complesso industriale. In particolare suFabio Riva, figlio del patron dell'Ilva, pendono le accuse di associazione a delinquere e di truffa sull'erogazione di contributi pubblici.
Il vicepresidente di Riva Fire è accusato di aver sottratto indebitamente 100 milioni di euro dal 2007 alla Cassa Depositi e Presiti, aggirando la legge Ossola sull'erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano. Questa truffa è potuta avvenire grazie alla costituzione di una società ad hoc in Svizzera, la Ilva Sa. L'imprenditore è destinatario di un mandato d'arresto europeo emesso dalla Procura di Milano e di una precedente ordinanza di custodia cautelare del gip di Taranto Patrizia Todisco.
Le indagini si spostano oltre Manica, a Londra. Fabio Riva infatti è residente già da tempo nella capitale inglese; le operazioni della guardia di finanza hanno portato al sequestro di 1,2 miliardi di euro nascosti dall'indagato nel paradiso fiscale del Jersey. Il 15 gennaio fu terminata l'udienza nel tribunale londinese di Westminster in cui la corte emanava l'ordinanza di estradizione avanzata dalla Procura di Milano. Anche se si tratta di un grande passo in avanti nell'inchiesta Ilva, i legali di Riva affermano che non c'è stato ancora nessun provvedimento concreto poichè l'estradizione potrà essere ancora impugnata. 

martedì 25 febbraio 2014

Commercio, crollano le vendite al dettaglio Mai cosi male da 24 anni A scendere anche gli alimentari, oltre all’abbigliamento

Le vendite al dettaglio nel 2013 segnano un crollo del 2,1% rispetto all’anno precedente. Lo rileva l’Istat, spiegando che si tratta del calo annuo più forte dall’inizio delle serie storiche comparabili, ovvero almeno dal 1990. E stavolta a scendere sono anche gli alimentari (-1,1%). Per il resto dei prodotti va ancora peggio (-2,7%), ma questa non è una novità. Infatti anche nel 2012 il non alimentare aveva fatto registrare la stessa caduta. A fare la differenza sono quindi il cibo e le bevande.
I SETTORI - Guardando nel dettaglio tutti i settori è evidente che nessuno si salva, persino i farmaci segnano una riduzione (-2,4%). Ribassi superiori alla media si registrano, tra gli altri, anche per abbigliamento (-2,7%) calzature (-3,0%), elettrodomestici-radio-tv (-3,1%) e mobili (-3,2%). Insomma la stretta sui consumi è piombata senza freni sugli acquisti. E a risollevare il giro d’affari non è arrivata la spintarella dei prezzi, che nel 2013 sono saliti solo dell’1,2% (+3,0% nel 2012).

Taranto, Stefàno torna al Comune dopo i problemi di salute: «Riparto con grande impegno»


TARANTO - Il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, è tornato al posto di comando, al primo piano di Palazzo di Città. 
«Quando non godi di buona salute il primo pensiero viene inevitabilmente rivolto alle persone più fragili». Dopo due mesi, un delicato intervento e un periodo di riabilitazione, il primo cittadino ha ripreso la sua attività amministrativa. Primo atto formale l’incontro, con il nuovo prefetto di Taranto, Umberto Guidato, insediatosi lo scorso 7 gennaio, con Stefàno ancora convalescente.

Il sindaco sta meglio, da ieri ha ripreso il suo lavoro quotidiano. I medici invitano alla massima prudenza. Ripresa del lavoro sì, ma graduale. «Posso dire di stare meglio – dice Stefàno – in salute, spero di stare ancora meglio per riprendere dal punto in cui sono stato bruscamente interrotto: la rinascita della nostra città; con il prefetto Guidato, ho parlato di impegno e grandi opportunità di riscatto per la nostra città, garantite dalle istituzioni, che assicurano massima armonia fra loro».

lunedì 24 febbraio 2014

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Sfratti, boom in Puglia per morosità incolpevole

Il fenomeno degli sfratti per morosità è in continuo aumento. in Italia riguarda oltre il 5% dei contratti d’affitto: su un totale di 2 milioni di locazioni, sono oltre 100.000 gli inquilini che non pagano quanto dovuto ai proprietari di casa. E gli ultimi dati del ministero degli Interni (elaborati dalla Ssai), evidenziano che nel 2012 i provvedimenti di sfratto per morosità emessi sono stati 60.244, in aumento dell’8,5% rispetto all’anno precedente. In 10 anni il fenomeno è lievitato del 121,9%, con una forte impennata negli anni della crisi (tra il 2007 e il 2012 +77,4%). I dati degli uffici giudiziari (che pervengono alle prefetture), mostrano che le richieste di esecuzione di sfratti sono arrivate a quota 120.903 (+32% in 10 anni), mentre gli sfratti eseguiti si sono fermati a 27.695 provvedimenti. Secondo il Sicet nazionale, i titoli esecutivi emessi nei soli capoluoghi di provincia, pari a 36.643, costituiscono il 54,1% del totale nazionale. Mentre, per quanto riguarda le regioni, il maggior numero di provvedimenti di sfratto emessi si concentra in Lombardia, seguita da Lazio, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Campania e Veneto.

«È una buona notizia che il Governo, nella conversione in Legge del decreto Milleproroghe, abbia prolungato la proroga degli sfratti al 31 dicembre 2014 - dice segretario del Sicet Cisl di Puglia, Paolo Cicerone - vista la crescita degli stessi sfratti che nella sola Puglia ha registrato un incremento del 23,2% rispetto all’anno precedente, contro una media nazionale del 6%». Secondo Cicerone «il welfare abitativo è la migliore politica sociale da mettere in campo in Puglia e in tutto il Paese. La casa è un diritto imprescindibile, come il lavoro e la salute, da salvaguardare e tutelare per il benessere dei cittadini. La crisi economica e sociale che sta insistendo sul Paese ha, purtroppo, determinato uno spaventoso aumento della “morosità incolpevole” in numerosi capoluoghi di provincia in Puglia, in particolare nelle città di Bari e Foggia. Occorre – conclude – che il nuovo Governo ponga le premesse per una rinnovata politica abitativa pubblica».

venerdì 21 febbraio 2014

EVENTI PROLOCO TARANTO






RIMBORSO IVA SULLA TARSU COME FARSI RIMBORSARE


RIEPILOGO:
Da TARSU a TIA1 a TIA2 alla RES 
 
A partire dal 1999 molti Comuni hanno sostituito la Tassa Smaltimento Rifiuti Solidi Urbani con la Tariffa di Igiene Ambientale, come definito dall’art. 49 del D.lgs. n. 22 del 1997 (il cosiddetto Decreto Ronchi) e dal DPR n. 158/1999.
Le principali differenze tra TARSU e TIA riguardano:
- il calcolo del contributo che, nel caso della TARSU è effettuato sulla base dei metri quadrati del proprio immobile (con una riduzione nel caso si viva da soli), nel caso della TIA, invece, la tariffa è determinata da una quota fissa del servizio, ai quali si aggiunge una componente variabile legata al numero dei componenti del nucleo familiare, e calcolata, cioè, in base ai rifiuti effettivamente prodotti, e in effetti così non è stato;
- un’evoluzione positiva, specialmente in alcune realtà, tesa ad incentivare sempre più la raccolta differenziata ed i comportamenti delle utenze finalizzati a ridurre i rifiuti alla fonte, a massimizzare il recupero ed a minimizzare il ricorso alla discarica.
Con il passaggio da “tassa” a “tariffa”, nei comuni dove è avvenuto, hanno applicato su quest’ultima l’IVA al 10%.
Nonostante la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2009, la maggior parte dei comuni coinvolti continuano tuttora ad applicare impropriamente l’IVA. 
 
 
 
 
L’illegittimità dell’IVA sulla TIA
 
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 238 del 24 luglio 2009, ha stabilito che la TIA (Tariffa di Igiene Ambientale) è una “tassa” e non una “tariffa”, pertanto, sulla stessa non è applicabile l’IVA.
Si riconosce, così, del tutto illegittima l’IVA al 10% applicata dai comuni interessati sulla TIA, per la quale, oggi, i cittadini possono chiedere il rimborso.
 
 
 
 
La TIA in cifre
 
Sono oltre 6 milioni le famiglie (pari a circa 17 milioni di cittadini) residenti in ben 1182 comuni italiani, che, dal 1999 al 2008, hanno dovuto pagare l’IVA di troppo sulla tassa sui rifiuti, e che oggi devono avere indietro quanto versato in più del dovuto.
La stima di tale spesa non è affatto di poco conto: secondo quanto indicato dall’ANCI si stima che i rimborsi per le famiglie ammontino a 993 milioni di Euro.
Ad esempio: per una famiglia che paga 250 Euro all’anno di TIA, quindi, la restituzione corrisponderebbe a 25 Euro l’anno, che vanno moltiplicati per il numero di anni in cui si è pagata la TIA.
 
 
 
 
 
 
 
 
Cosa fare
 
Prima di tutto bisogna controllare che nel proprio comune sia stata adottata la TIA al posto della TARSU. Nel caso fosse così è necessario accertarsi di avere tutte le ricevute di pagamento relative alla TIA, facendo attenzione che, nelle relative fatture, sia stata effettivamente addebitata l’IVA.
Per richiedere il rimborso e la cessazione immediata dell’applicazione dell’IVA, invitiamo gli aventi diritto a recarsi presso uno degli sportelli della Federconsumatori dislocati su tutto il territorio nazionale, dove potranno compilare degli appositi moduli e dove riceveranno le informazioni o l’assistenza necessaria. Altrimenti potete scaricare il modulo qui allegato e spedirlo all’azienda o comune che emette le bollette.
 
 
 
 
Ora tocca al Governo ed alle aziende o comuni dare corretta applicazione alla sentenza della Corte Costituzionale
 
Per oltre 2 anni e mezzo la Federconsumatori ha richiesto al Governo Berlusconi di dare attuazione alla sentenza. Dopo la sentenza della Corte decine di migliaia di cittadini hanno avanzato domanda per la richiesta di cessazione dell’assoggettamento all’IVA della TIA nonché per la restituzione di quanto illegittimamente pagato da quando è avvenuto il passaggio da TARSU a TIA nelle città o comuni interessati.
Il Governo ha tergiversato a lungo, tentando in seguito di scippare i rimborsi agli aventi diritto, e, infine, cambiando nome alla TIA da Tariffa di Igiene Ambientale (TIA1) in Tariffa IntegrataAmbientale (TIA2) ai sensi del D.lgs. 152/2006, etichettandola come “prestazione di servizio” su cui è applicabile l’IVA. Ovvero, come cambiare solo il nome senza cambiare la sostanza.
La nuova TIA2 (Tariffa Integrata Ambientale), però, in assenza del regolamento attuativo, è applicabile per legge sulla base del regolamento attuativo della vecchia TIA (sulla quale l’IVA è illegittima).
Insomma, il Governo Berlusconi le ha provate tutte per aggirare milioni di italiani declinando le proprie responsabilità nel dare applicazione ad una sentenza dell’Alta Corte Costituzionale.
 
 
 
 
La battaglia continua
 
La Federconsumatori, intanto, ha inviato nel 2010 lettere di diffida (ai sensi dell’Art. 140, comma 5, del Codice del Consumo) a molte aziende multiutility che erogano e riscuotono le bollette della TIA. In alcuni casi ha ottenuto importanti risultati, come a Perugia, Terni e Narni, che hanno cessato nel 2010 l’applicazione dell’IVA sulle bollette future della TIA. In altri casi, come a Rimini, il Comune aveva invitato l’azienda Hera, di cui è azionista, ad ottemperare nell’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale, ma l’azienda si è rifiutata.
Sempre nel 2010 la Federconsumatori ha intrapreso una “causa inibitoria” a Melegnano (MI) presso il Tribunale di Lodi nei confronti dell’azienda locale ma senza trovare un pronunciamento d’urgenza incoraggiante teso a far cessare questo prelievo indebito sulle bollette degli utenti.
Nel frattempo, il Comune di Roma ha annunciato che non avrebbe più applicato l’IVA sulla TIA , salvo poi fare retromarcia, con l’aggravante di aumenti di pari importo sulle tariffe, del ripristino dell’IVA sulle bollette nel 2011 e del recupero dell’IVA del 2010 in aggiunta alle bollette del 2012.
Federambiente e ANCI, sollecitate dalla Federconsumatori a dare indicazioni alle proprie aziende di applicare la sentenza della Corte Costituzionale, si sono giustificate di non aver agito in tal senso in quanto aspettavano disposizioni da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze sull’applicazione della sentenza.
Nel 2011 Federconsumatori di Genova, Prato ed Alessandria hanno promosso cause pilota davanti al Giudice di Pace, con 3 vittorie significative a favore dei cittadini che hanno ottenuto il rimborso.
In questo contesto di pronunciamenti favorevoli, che ci danno vigore nel condurre questa battaglia di legalità e giustizia raggiungendo un importante obiettivo con il nuovo Decreto Legge del 6/12/2011 n.201 in cui, all’art. 14, si istituisce il nuovo tributo per il servizio di smaltimento dei rifiuti, su cui l’IVA dal 1/1/2013 non verrà più applicata: un notevole risultato raggiunto nella campagna fin qui condotta dai consumatori e dalla nostra Associazione.  
 
Come Federconsumatori Nazionale chiediamo un incontro con il nuovo Governo Monti per richiedere che venga affrontato il problema della restituzione dell’IVA pagata indebitamente da milioni di cittadini, rilanciando proposte di storno sulle future bollette o di detrazione dell’importo non dovuto nelle dichiarazioni dei redditi (previa presentazione delle bollette).
È chiaro che va trovata una soluzione urgente e politica da parte del Governo e del Parlamento, come da noi sempre sollecitato anche durante il precedente Governo.
Contestualmente manterremo viva la pressione e continueremo a portare avanti la mobilitazione dei cittadini e, laddove maturino le condizioni, anche attraverso l’avvio di cause pilota e class action nei confronti di grandi aziende.   

lunedì 17 febbraio 2014

Taranto, Teleperformance incassa gli incentivi. Ma ora delocalizza in Albania L'azienda francese, leader dei call center, dal 2008 a oggi ha goduto dei benefici previsti dalla legge per la stabilizzazione dei lavoratori. Ora però, annuncia di voler trasferire in Albania una commessa ricevuta da Eni. Sindacati sul piede di guerra

Stabilizzare i lavoratori per incassare gli incentivi e poi delocalizzare. Magari in Albania. È quanto sta avvenendo negli stabilimenti italiani di Teleperformance, uno dei colossi del call center in Italia. La multinazionale francese, nel 2008, ha infatti stabilizzato migliaia di giovani in Italia ricevendo in cambio sostanziosi stanziamenti di denaro dal Governo. L’ultimo “beneficio”, in ordine di tempo, è stato concesso dal Governo con la legge di stabilità approvata lo scorso mese di dicembre.
Nel testo si legge che “l’incentivo ha un importo massimo di 200 euro per lavoratore. Il valore annuale dell’incentivo non può superare 3 milioni di euro per ciascuna azienda e non può comunque superare il 33 per cento dei contributi previdenziali pagati da ciascuna azienda. L’incentivo è riconosciuto nel limite massimo di 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016”. Insomma diversi milioni di euro per i prossimi tre anni per premiare un’azienda che ha permesso ai propri dipendenti di guardare con certezza a futuro. Peccato che, qualche settimana dopo questo provvedimento, Teleperformance abbia annunciato di voler trasferire in Albania la commessa vinta con Eni per la gestione telefonica del back office.
La notizia ha scatenato l’ira dei sindacati che hanno denunciato l’atteggiamento dell’azienda spiegando che “questa scelta ci vedrà fortemente contrari. Con la sottoscrizione dell’accordo del gennaio 2013 – hanno spiegato le segreterie nazionali di Slc-CgilFistel-Cisl e Uilcom-Uil – l’azienda ha sottoscritto, con il sindacato ed i lavoratori, un patto che va ben al di là del contenuto dell’accordo stesso. Spostare oggi questa commessa all’estero rappresenterebbe per il sindacato un atto ostile che non potrebbe non avere ripercussioni immediate sui rapporti sindacali in azienda”. Sul piede di guerra, le sigle sindacali hanno chiesto la convocazione “in tempi rapidi” di un incontro per fare il punto sulla situazione “complessiva dell’azienda e delle commesse”.
E a Taranto, intanto, dove lo stabilimento Teleperformance rappresenta la seconda realtà occupazionale dopo l’Ilva, la notizia ha suscitato paura tra i giovani dipendenti. “In un Paese normale, – ha commentato Andrea Lumino della Slc Cgil – a seguito della denuncia fatta dal sindacato, le istituzioni dovrebbero chiamare l’azienda e chiedere se ha adempiuto agli obblighi previsti dalla legge rispetto alla delocalizzazione e bloccare gli incentivi o i finanziamenti pubblici. Non solo. Si dovrebbe informare anche il committente legato all’energia e chiedere se avalla questo discorso. Insomma – ha aggiunto il sindacalista tarantino – se non si risolve il problema a livello politico, i sindacati con i lavoratori avranno sempre mani nude. Noi faremo il nostro, presso tutte le sedi politiche e giuridiche: è ignobile che lavoro buono come quello del back office di questa grande azienda, tra l’altro ben pagato, vada in Albania”.

Merce taroccata venduta via Internet: presa banda

TARANTO – La Guardia di finanza ha sgominato una organizzazione che produceva e poi vendeva via internet merce contraffatta eseguendo una ventina di ordinanze di custodia cautelare. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce. L’inchiesta è stata avviata in seguito alla denuncia presentata da alcuni acquirenti. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati due opifici e attrezzature utilizzate per l’attività di illecita contraffazione di marchi di note aziende. Per la prima volta in Puglia è stata applicata la normativa, entrata in vigore nel 2009, che attribuisce alla Direzione distrettuale antimafia la competenza a indagare su associazioni per delinquere finalizzata alla contraffazione di marchi. I militari del Nucleo di Polizia Tributaria di Taranto, in collaborazione con altri Reparti del Corpo in ambito nazionale, hanno eseguito 24 ordinanze di arresto, delle quali 11 in carcere e 13 ai domiciliari, disposte dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta del sostituto procuratore Alessio Coccioli.

Non tutti i provvedimenti restrittivi sono stati notificati. Le attività investigative, iniziate nel gennaio del 2009 dopo un sequestro di merce falsa operato al porto di Taranto, hanno tratto origine dagli approfondimenti di elementi, acquisiti dai gestori di dati telematici, riferiti a taluni utilizzatori di indirizzi IP attraverso i quali veniva effettuata la commercializzazione di calzature e capi di abbigliamento recanti i marchi contraffatti di note aziende internazionali. Il successivo sviluppo operativo, supportato da intercettazioni telefoniche e telematiche, ha evidenziato l’esistenza di un primo sodalizio criminale, costituito prevalentemente da persone di origine campana, che si servivano di due opifici ubicati a Maddaloni (Caserta) e Casoria (Napoli), entrambi sequestrati oggi, all’interno dei quali vi erano attrezzature e macchinari utilizzati per l’illecita attività di produzione di merce contraffatta.

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giovedì 13 febbraio 2014

ATTENZIONE A RISO PATATE E COZZE Taranto, effetto diossina sequestrate 5 tonnellate di cozze tra le proteste

TARANTO –  Cinque tonnellate di cozze coltivate in una zona vietata del mar Piccolo, a rischio sanitario, dove è interdetto l’allevamento in quanto nell’area è stata rilevata un’alta concentrazione di diossina e Pcb (policlorobifenili), sono state sequestrate da militari della Capitaneria di porto di Taranto. Non sono mancati i momenti di tensione per la protesta di alcuni pescatori.

Sul posto, nei pressi della discesa Vasto, sono intervenuti anche agenti della Polizia di Stato e della Polizia municipale e militari della Guardia di finanza. Il prodotto è stato caricato sugli autocompattatori dell’Amiu, l’azienda di igiene urbana, per la successiva distruzione.

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mercoledì 12 febbraio 2014

Taranto, diossina nel latte materno in 4 casi su 15


TARANTO – In quattro casi su 15 campioni di 100 ml di latte ciascuno di donne residenti in vari quartieri di Taranto sono stati trovati valori compresi tra 4 e 15 picogrammi di diossine e furani per grammo di grasso presente nel latte, mentre la concentrazione massima si diossine ammessa nel latte è di 3 pg/g. I prelievi sono stati effettuati negli anni 2008 e 2009 e soltanto nel 2011 sono stati ottenuti i risultati, pubblicati nel 2013 su una rivista scientifica internazionale. L'associazione ambientalista Legamjonici ha riproposto questi dati chiedendo alle istituzioni e agli organi deputati al controllo di fare chiarezza perchè “di fronte a valori così elevati di diossine è necessario dire la verità”.

Dei rischi correlati alle emissioni di diossina di origine industriale che possono contaminare anche il latte materno hanno parlato, nel corso di una conferenza stampa, la coordinatrice di Legamjonici Daniela Spera, la ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Università della Basilicata Giuliana Bianco e il Direttore Emerito di Neonatologia dell’Ospedale Santissima Annunziata di Taranto Vincenzo Vitacco.

“Pur essendo i dati non rappresentativi dell’intera popolazione tarantina – sottolinea in una nota Spera – tuttavia risultano essere preoccupanti”. Benchè l’organizzazione mondiale della sanità raccomandi comunque l’allattamento al seno, nel corso della conferenza stampa è stata sottolineata “l'importanza di una corretta informazione sul contenuto di diossine nel latte e nell’organismo della mamma per consentirle di fare una scelta”. Lo stesso studio conclude che “l'intervento preventivo più efficace per evitare la contaminazione del latte materno è l’eliminazione di tali inquinanti dall’ambiente perchè le diossine si assumono per via alimentare”.

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martedì 11 febbraio 2014

Taranto, maxi-sequestro di una discarica. Gli investigatori: “Impianto inquinante” L'operazione del Noe di Lecce dopo le segnalazioni dei residenti per la troppa puzza e i rilevamenti dell'Arpa sulla concentrazione di idrogeno solforato


Maxi sequestro da 300 milioni di euro a Lizzano, in provincia di Taranto. A finire sotto chiave è la discarica della Vergine Spa, autorizzata ad accogliere rifiuti speciali non pericolosi, destinazione finale degli scarti di moltissime aziende, anche del Nord. Ad apporre i sigilli sono stati icarabinieri del Noe di Lecce, al comando del maggiore Nicola Candido. Secondo gli inquirenti, quell’impianto inquina. L’ipotesi di reato contestata ai gestori è, infatti, il getto pericoloso di cose, per aver provocato l’emissione di sostanze odorigene, come il solfuro di idrogeno e biogas, derivanti dai processi di gestione e post gestione delle vasche di raccolta e di trattamento dei rifiuti. Le indagini, durate un anno e mezzo, sono state avviate in seguito agli esposti dei residenti, che lamentano da sempre insopportabili miasmi. Il centro abitato di Lizzano, d’altronde, dista appena 3,5 km dalla discarica di contrada Palombara. 
Le consulenze tecniche e i monitoraggi effettuati dall’Arpa di Taranto hanno confermato che le concentrazioni di idrogeno solforato sono superiori alla soglia di percepibilità olfattiva prevista. Inoltre, le emissioni potrebbero essere correlate alla dispersione di sostanze odorigene compatibili con le operazioni di abbancamento dei rifiuti e con lo spegnimento di alcune torce per la combustione dei biogas, spia, secondo i carabinieri, di un non corretto sistema di captazione di quest’ultimo. Neppure per i fanghi in entrata sarebbero stati adottati tutti gli accorgimenti necessari per evitare le emissioni. Uno studio sui venti, infine, a partire dalle stazioni di rilevamento di Torricella e Grottaglie, è servito per comprendere l’origine dei miasmi avvertiti ed escludere eventuali altre fonti inquinanti.
È per tutto questo che i militari del Nucleo operativo ecologico hanno proceduto con il sequestro preventivo dell’intero impianto, dando esecuzione al decreto richiesto da pm Lanfranco Marazia ed emesso dal gip Valeria Ingenito. I sigilli hanno interessato anche tre compattatori industriali, due pale meccaniche e tre escavatori utilizzati per la movimentazione e la copertura dei rifiuti speciali.