domenica 17 novembre 2013

COME SI FA' PERDIAMO PEZZI DELLA NOSTRA MEMORIA I MIEI NONNI INSIEME AI MIEI GENITORI ERANO MAESTRI DI STORIA E DI VITA BOH...

Soffocata dai veleni
lentamente muore
la masseria Leucaspide

di ALESSANDRA CAVALLARO
TARANTO - A ridosso della Gravina Leucaspide, zona protetta, sono stati sversati oltre 5 milioni di metri cubi di rifiuti, sversamenti avvenuti fuori e dentro la proprietà Ilva. Rifiuti che contengono Berillio, Pcb, Arsenio. A dirlo è una perizia, spina dorsale della denuncia presentata alla Procura da uno dei 4 fratelli proprietari della tenuta Leucaspide, Vito De Filippis che si è rivolto agli avvocati Claudio e Carlo Petrone. Un lavoro lungo e complesso che va avanti da oltre un anno, fatto di verifiche sul posto, rilievi fotografici, analisi chimiche, lettura di vecchi documenti, ricostruzioni di passaggi burocratici, atti confluiti in un faldone di duemila pagine consegnato ai magistrati. Sono state allegate anche alcune tesi di laurea che dimostrano la bontà del paesaggio che circondava Leucaspide prima che s’insediasse il siderurgico. Nella perizia sono contenuti dei grafici, dai quali emergerebbe come negli anni, i rifiuti sversati, siano progressivamente scesi in gravina contaminando terreni e modificando l’assetto paesaggistico.

Il pool che ha lavorato alla denuncia, oltre i due legali anche l’avvocato Tagariello e l’ingegnere Giuseppe Lamusta, è arrivato a stilare una perizia che merita un’attenta lettura. «Dalle analisi effettuate sui rifiuti industriali di discarica e polveri di altoforno, emerge la presenza di Pcb 20 volte superiore il limite di accettabilità imposto sul verde pubblico - spiega l’ingegnere Lamusta - quantità significative di Berilio, Arsenio e Cromo, ma anche di Taglio che è stato bandito in molti stati europei persino come topicida. Sostanze sversate nella Gravina, abusivamente».

Lentamente, invece, è scomparsa la vita nella tenuta Leucaspide. Muoiono cani, cavalli, colture, l’esuberanza di una vegetazione verde, fitta, accecante, è scomparsa lasciando un terreno bruciato e levigato da una lava grigiastra che tutto corrode. Fin qui quello che si vede. Resta l’allerta silenziosa di una eventuale contaminazione in falda. «Non sembra neanche più la mia terra» si sfoga Vito De Filippis che ha ereditato negli anni ’70 una parte della tenuta. Un uomo che, ironia della sorte, si è laureato in medicina veterinaria, è figlio di proprietari agricoli, attaccato da sempre al fondo di famiglia e alla natura. Ha provato ad investire, ma il suolo ereditato sembrava stregato. I suoi progetti non riuscivano a decollare e non per sua volontà. Poi il sospetto delle contaminazioni, la morte di alcuni cavalli, i sopralluoghi dell’Arpa e della Guardia Forestale, infine la denuncia. «Guardi le foto – dice indicando vecchi ricordi contenuti nella perizia di parte – qui c’era - no uliveti e frutteti. La presenza dell’Ilva ci ha svilito».

Vito De Filipps e sua moglie Adriana hanno scelto di parlare apertamente oggi della denuncia, dopo avere letto sulla Gazzetta che il commissario straordinario dell’Ilva Enrico Bondi ha scritto lo scorso 8 novembre a Ministero dell’Ambiente, Ispra, Arpa, Procura per segnalare «la presenza di rifiuti per una profondità di circa10 metri e l’estensione di circa 3 ettari, in un’area incolta con presenza di numerosi alberi, posta al confine nord delle aree di proprietà, prossima alla gravina Leucaspide nel territorio di Statte».
Contestualmente Bondi ha anche scritto che «tale area, mai utilizzata da Ilva dal subentro alla gestione Iri nel 1995, risulta invece essere stata esclusivamente dell’Iri dal 1970» e di avere avviato tutti gli accertamenti del caso.

Vito e Adriana vivono all’interno di una delle masserie della tenuta Lucaspide. Il pezzo di terreno ereditato è il più grande, ma ricade proprio nella gravina che hanno visto morire giorno dopo giorno. «Non solo subiamo l’inquinamento e ciò che ne consegue – dicono - ma abbiamo un problema visivo, per cui anche investire in una ristrutturazione per fare turismo a noi è impedito». All’aggressione della fabbrica si aggiungo i vincoli stringenti del parco che costituisce la Gravina. Marito e moglie si sentono in gabbia. La proprietà ha subito un danno, la loro vivibilità è seriamente compromessa, bloccati gli sviluppi futuri. La denuncia e la richiesta risarcitoria, milioni di euro, sono la conseguenza di una sensazione, funesta, di paralisi.lagazzettadelmezzogiorno

Nessun commento:

Posta un commento