Prevedibile ed anzi ovvio: l’Unione Europea ieri ha avviato unaprocedura di infrazione contro l’Italia a proposito dell’acciaieriaIlva di Taranto (l’impianto siderurgico più grande d’Europa salvatoda leggi ad aziendam), ove non viene rispettata la direttiva europea sulla prevenzione dell’inquinamento.
Chissà mai perchè il “ce lo chiede l’Europa” è il primo comandamento solo quando si tratta di spremere sangue alla gente. Se c’è in ballo un comportamento civile nei confronti dell’ambiente – solo civile, eh!, mica d’avanguardia – il “ce lo chiede l’Europa” per i nostri governanti vale un pernacchio. E allora la prevedibile multa europea la paghino loro: la paghino i governanti e non l’Italia che è è notoriamente il Paese Ue con il più alto numero di procedure di infrazione relative all’ambiente. Il commissario Ue all’Ambiente Janez Potocnik lo ha definito “un problema sistemico”.
Autentici funambolismi di diplomazia verbale. Io, che non ho problemi del genere, al posto suo avrei detto: si tratta di una precisa volontà politica.
Il tono del comunicato stampa con cui l’Unione europea ha annunciato la messa in mora dell’Italia per l’Ilva è lo stesso usato dal commissario Potocnik nell’intervista all’Ansa sulla riottosità ambientale dell’Italia: un tono pacato, misurato, che contempla l’offerta di aiuto alle autorità italiane “nei loro sforzi per risolvere queste questioni gravi”. Mi domando se da Roma è partito un altro pernacchio. Lasostanza del comunicato, tuttavia, è molto dura: l’Ue ha inviato all’Italia una lettera (ho aggiunto i link) in cui si dice che l’Italia stessa
non garantisce che l’ILVA rispetti le prescrizioni dell’UE relative alle emissioni industriali, con gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente. L’Italia è inoltre inadempiente anche rispetto alla direttiva sulla responsabilità ambientale, che sancisce il principio “chi inquina paga”. (…) Le prove di laboratorio evidenziano un forte inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere, sia sul sito dell’ILVA, sia nelle zone abitate adiacenti della città di Taranto. In particolare, l’inquinamento del quartiere cittadino di Tamburi è riconducibile alle attività dell’acciaieria
Per andare al di là del diplomatico politichese e dire pane al pane e vino al vino, si può attingere dal blog di Alessandro Marescotti, presidente della rete telematica ecopacifista PeaceLink. Racconta come è nata la messa in mora dell’Italia: egli, insieme ad Antonia Battaglia e Fabio Matacchiera(Fondo Antidiossina), ha messo insieme tutta la documentazione sull’Ilva: in pochi mesi 270 lettere inviate a Bruxelles e tre inviti ad illustrare la situazione. Anche in questo caso ho aggiunto un link.
La prima volta queste tre persone (Marescotti, Matacchiera e Battaglia, ndr) hanno presentato le 36 infrazioni all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) dell’Ilva (…) La cosa ha generato stupore. Nel secondo viaggio è stato presentato l’elenco delle inadempienze alle prescrizioni AIA: ma questa volta a denunciare ciò che non andava era il Garante dell’AIA Ilva che decretava l’avvio delle sanzioni nei confronti dell’acciaieria. La cosa ha generato sorpresa. Poi nei giorni successivi la Commissione Europea ha appreso che il Garante dell’AIA veniva eliminato e che il governo italiano approvava un nuovo decreto per non sanzionare l’Ilva. La cosa ha generato sconcerto
Resta un pensiero amaro. I governanti spernacchiano le norme ambientali Ue ma saranno gli italiania pagare la probabilissima e salata multa europea. Mi piacerebbe che responsabilità e multe venissero attribuite ad personam (o ad personas). Taranto e l’Italia hanno già dato. Hanno già pagato subendo l’inquinamento. Adesso a ciascuno il suo, per favore.

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