Salvare lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto con lo shale gas, ovvero con il fracking. Utilizzare il metano, la cui combustione è relativamente pulita, al posto dello sporchissimo carbone. Il Sole 24 Ore scrive che si sta studiando questa soluzione (in italiano solo poche righe per i non abbonati ma c’è un articolo sull’edizione in inglese) e che dunque si prospetta la trasformazione di Taranto in un grande laboratorio “per una nuova modernità energetica ed industriale”.
Un minimo di analisi rivela che l’ipotesi di fare andare a gas l’Ilva semplicemente non sta nè in Cielo nè in terra. Cioè, nulla è impossibile a questo mondo: ci vorrebbe però una quantità di gas pari a circa il 6% delle importazioni nazionali annue. Dove pensano di andarlo a prendere?
Le parole del Sole suggeriscono l’uso di risorse legate al territorio: e siccome in Italia non ci sonorocce adatte a praticare il fracking propriamente detto e i pozzi di idrocarburi sono assai stitici, l’aumento della produzione potrebbe essere tentato solo somministrando loro il metaforico equivalente di più e più purghe da cavallo. Ma si tratta di pratiche cui spesso è legato il rischio di inquinamento della falda idrica. Ovvero, sporcare l’acqua per pulire l’aria di Taranto.
Gli unici dati che ho trovato relativi alla quantità di carbone necessaria per far funzionare l’Ilva di Taranto risalgono al 2007: vengono dalla stessa Ilva (nell’ambito del “Analisi energetica dello stabilimento”) e son stati messi on line da Peace Link. Vi si legge che carbone e derivati garantiscono190.000 Terajoule all’anno di energia: la grandissima parte dell’energia utilizzata dall’Ilva.
Usando il convertitore, si scopre che per avere gli stessi 190.000 Terajoule di energia sarebbero necessari 4,82 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Allo stato attuale dei fatti (dati del 2011 trovati da Linkiesta) l’Italia importa ogni anno importa 70 miliardi di metri cubi di gas. La conversione a metano dell’Ilva richiederebbe appunto un aumento delle importazioni di gas pari al 6% circa. Mica noccioline.
E se il gas volessero cercarlo in loco? Quanto alla sola Puglia, dai dati del ministero per lo Sviluppo economico si ricava che la produzione annua di gas da pozzi situati a terra è pari a circa 300 milionidi metri cubi (milioni, non miliardi); ad essi vanno aggiunti 850 milioni di metri cubi dalle piattaformein mare. Solo circa un quarto, comunque, di quello che servirebbe all’Ilva: ovviamente, se questo gas fosse usato dall’impianto siderurgico esso verrebbe sottratto ad altri impieghi.
In Puglia, altro gas non ce n’è. O almeno, non risultano nuovi giacimenti accertati: semmai speranze di trovarli. Sono però in uso da tempo in Italia varie forme “estreme” di estrazione degli idrocarburi (vedi il caso della piattaforma Giovanna nell’Adriatico), gravide di potenziali deleteri effetti collaterali, che consentono di aumentare la produzione e spremere fino all’ultimo i pozzi altrimenti stitici: nè si pensa in alcun modo di vietarle. Anch’esse, nel parlare comune, sono spesso impropriamente definite “fracking”.
Mica per caso penseranno proprio a questo quando parlano di trasformare Taranto “in un grande laboratorio per una nuova modernità energetica ed industriale”?

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