sabato 31 agosto 2013

Smart City e PMI: bandi e applicazioni Bandi di gara, opportunità di business e vantaggi concreti per le PMI italiane grazie ai progetti Smart City: focus sulle iniziative dell'Agenda Digitale italiana ed europea per migliorare la vita dei cittadini grazie alla tecnologia.

Man mano che le nostre città si trasformano in “Smart City“, si concretizzeranno inedite opportunità di business erisparmio per le PMI italiane. Così vuole l’Europa e anche il Governo: lo dimostrano i bandi di ricerca pubblicati negli ultimi mesi e quelli in arrivo.
Opportunità che le aziende più innovative potranno cogliere, mentre le altre resteranno indietro, a quanto confermano a PMI.it i principali esperti di questo tema in Italia.

Smart City: bandi e progetti

Vediamo per prima cosa il quadro dei bandi di gara, perché in tutto questo fermento è facile perdere il filo delle cose in ballo.
Nel 2012 è arrivato il primo Bando Nazionale dedicato alle Smart City da 665 milioni di euro e si è concluso quello per “Smart Cities & Communities rivolto alle sole regioni meridionali (200 milioni di euro). In ogni caso, si tratta di risorse comunitarie FESR 2007-2013 (Fondo europeo di sviluppo regionale) con bandi sotto la responsabilità del MIUR.
Il primo passo è dunque approvare idee progettuali, che coinvolgono una pubblica amministrazione precisa (un ospedale, un Comune, la protezione civile…), da rendere più smart grazie a una tecnologia specifica, la quale comunque deve rispondere a una concreta esigenza dei cittadini.Il MIUR aggrega poi le idee simili, trasformandole inprogetti sperimentali in specifiche aree. Questi diventano infine applicazioniutilizzabili da qualsiasi PA nazionale (tramite Cloud Computing).

Applicazioni smart

Il concetto base per capire l’idea di Smart City è che l’Europa vuole utilizzare latecnologia per migliorare la vita dei cittadini partendo dai problemi più urgenti: l’invecchiamento della popolazione, il sovraffollamento delle città, l’emergenza ambientale, la crisi delle energie non rinnovabili, gli alti costi delle pubbliche amministrazioni (problema attualissimo da noi, in tempi di Spending Review).
Ecco perché i progetti per Smart Cities si occupano prevalentemente di energia, diinfomobilità, di e-government, di tele-assistenza e telemedicina.
Non dovremo inventare cose fantascientifiche. «La tecnologia è già disponibile, ora tutto sta a utilizzarla e per questo bisogna riorganizzare le città», dice Francesco Sacco, docente dell’Università dell’Insubria e di EntER Bocconi, specializzato in questioni digitali.
A questo scopo va anche ri-orientata l’Industria. A questo scopo è stato lanciato lo scorso anno anche il Bando Cluster Tecnologici – dove le smart cities sono uno dei temi chiave – per potenziare i distretti tecnologici esistenti creando sette cluster nazionali che aggreghino competenze pubblico-private (imprese, università e altre istituzioni di ricerca) in vari territori su predeterminate tematiche (energia, agro alimentare, aerospazio, chimica verde).
Altri bandi di ricerca in ambito smart cities sono hanno sfruttato i 9 miliardi di euro a livello europeo messi a disposizione dal Settimo Programma Quadro 2007-2013 e gli 80 miliardi di euro del nuovo programma comunitario Horizon 2020.
Tutto questo fermento intorno al concetto di smart cities è traducibile in un investimento cumulato di 116 miliardi di dollari nel mondo tra il 2010 e il 2016 (fonte: Abi Research); in Italia, saranno 4,45 miliardi di euro dal 2013 al 2015 (secondo Netics).

Smart cities: i vantaggi per le PMI

Parte di questo denaro finirà nel tessuto industriale, anche delle piccole e medie imprese italiane, direttamente. Non solo attraverso i bandi ma anche per le commesse che arriveranno dalla PA: a vantaggio delle aziende che producono beni e servizi innovativi. Le PMI dovrebbero uscire rafforzate dalla rivoluzione smart city anche indirettamente: l’ecosistema città, divenuto smart, dovrebbe renderle infatti più efficienti e più competitive sul mercato internazionale, secondo gli esperti.
Ne è convinto Mario Calderini, massimo esperto di questo tema in Italia: oltre a essere docente presso il Politecnico di Torino, è il responsabile della divisione “Smart Cities & Communities” gestita dal MIUR all’interno della Cabina di Regia interministeriale che sta lavorando alla prima Agenda digitale italiana (pacchetto di norme che vedrà la luce a settembre).
«Si va verso un circolo virtuoso, che avvantaggerà anche le PMI», dice Calderini. «Quando i Comuni diventeranno smart dovranno prendere alcuni appalti, per esempio per fare lampioni intelligenti, e quindi porteranno ricavi alle aziende innovative. Alzare il livello tecnologico degli acquisti costringe inoltre le imprese, a loro volta, a potenziare le proprie capacità di fare innovazione. Costruiamo così competenze, nel nostro tessuto industriale, che poi si dimostreranno utili a conquistare quote sul mercato internazionale», spiega.
«Le aree che se ne avvantaggeranno di più sono quelle del biomedicale – delle tecnologie per il controllo a distanza di pazienti e anziani – e delle energie rinnovabili», prevede Calderini.
«Ma sono buone notizie anche per le aziende che producono software di gestione e sensoristica per il machine to machine», aggiunge. L’Italia ha molte competenze nell’ambito M2M, che però finora hanno potuto esprimersi perlopiù sui mercati stranieri. Adesso è il momento del riscatto: saranno piene di M2M le città del futuro, per esempio per monitorare il traffico, per occuparsi della sicurezza del territorio attraverso reti di sensori; per le smart grid (reti intelligenti per produzione e distribuzione di energia tramite fonti distribuite).
«Questo nuovo filone di investimento sarà anche un’opportunità per sviluppare nuovi spazi imprenditoriali per le PMI più innovative e intraprendenti», concorda Sacco. «Perché i servizi delle smart city saranno sviluppati come una piattaforma realizzata dalla PA ma, con ogni probabilità, inventati e gestiti da privati. Un cambiamento copernicano per la PA: da gestore a playmaker, da erogatore di servizi ad abilitatore», continua.
«Le PMI che se ne avvantaggerebbero sono quelle che lavorano su modelli aperti di innovazione. Per esempio nella domotica: lavatrici che dialogano con la grid e fanno consumare di meno sfruttando gli orari di basso carico; servono sistemi domestici che controllino i consumi elettrici, come quelli adottati ad Amsterdam. Se no non c’è risparmio. Non basta la smart grid, non basta la smart city: serve anche la smart home», aggiunge Sacco. E le Pmi sapranno popolare le case italiane di innovazioni.
Un altro campo che darebbe opportunità di sviluppo alle PMI, nell’alveolo della filosofia smart city, è l’open data. È nei propositi dell’Agenda digitale rendere aperti i dati della PA. Significa due cose: a pubblicare online inventari su tutti i dati che queste possiedono e a fornire dati specifici su richiesta di cittadini o aziende. «Una start-up potrà quindi andare dal Comune e farsi dare tutti gli orari dei mezzi pubblici, per costruirci sopra un’applicazione GPSper cellulare.
Per molte aziende sarebbero una miniera d’oro i dati storici della viabilità: le consegne sarebbero più rapide ed efficienti, perché sceglierebbero i percorsi che statisticamente sono più rapidi ora per ora», spiega Juan Carlos De Martin. È cofondatore del Centro Nexa su Internet & Società del Politecnico di Torino e sta seguendo da vicino il debutto degli open data in Italia.
Questa crescita di efficienza del sistema fa poi bene a tutti, PMI comprese. «Le imprese potranno avere rapporti tutti online con la PA. E consideriamo che andare in un ufficio pubblico a fare la fila è un onere soprattutto per le piccole imprese, più che per le grandi», dice Sacco. «Le aziende che fanno business con le consegne di prodotti hanno vantaggi se il traffico diventa più razionale grazie a servizi innovativi di infomobilità – continua. Di conseguenza, sarebbe un bene anche per tutte quelle che fanno e-commerce». Cioè potenzialmente quasi tutte le aziende italiane.«La diffusione dellesmart grid incentiva infine le PMI a installare sistemi per l’energia rinnovabile e così risparmiare sulla bolletta energetica».
Insomma: nuove fonti di ricavo, più efficienza e risparmi. Sono queste le opportunità che verranno dalle smart city. Purché le PMI e più in generale l’Italia saranno in grado di coglierle.

SMART CITY E COMUNITA DI VICINATO IL PROGETTO BORGO CARD PER TARANTO FUTURA CONDIVIDETE E DATE PARERI

La Smart City non è solo tecnologia, ma, è fatta soprattutto di  persone, comunità,interpreta bene questo concetto fondamentale, che abbiamo sottolineato tante volte nei nostri approfondimenti, nei tavoli di lavoro e nei convegni Progettare la Smart city a livello di quartiere e di comunità di vicinato è l’approccio dell'associazione Borgo Card
In un certo senso, ogni grande città è un conglomerato di piccole comunità. I quartieri sono fatti di persone che intrecciano quotidianamente le loro esperienze di vita e di lavoro e sono la scala urbana più adatta per sperimentare nuovi modelli di welfare e nuove soluzioni di mobilità, sostenibilità, integrazione. Così Borgo Card  considera il quartiere come la dimensione più promettente per realizzare progetti smart.                                                                                                                                        Nel quartiere del Borgo di Taranto la concezione di ciò che è vivibilità e sostenibilità dei luoghi è un processo di co-creazione che parte delle pratiche di vicinato e di vita quotidiana. In questo contesto le tecnologie ampliano il senso del "collettivo", aumentano la percezione e la consapevolezza delle esperienze vissute, sottolineano significati e condivisione di valori.
La Smart city vision di Borgo Card è infatti radicata principalmente sull'idea che una città intelligente è una città in cui le persone sono i principali attori della vita urbana e adottano soluzioni tecnologiche (soluzioni anche semplici, frugali) non perché imposte dai mercati o dai governi ma perché funzionali ai loro bisogni. In una città smart nuove forme di partnership pubblico-private si sviluppano sulla base di sinergie, piuttosto che di relazioni negoziate. In tali città intelligenti può nascere uno spazio innovativo per il mercato ICT perché questo è profondamente radicato nei problemi reali delle persone, nella loro vita quotidiana, nel loro impegno per rispondere alle proprie esigenze.
Ecco i quattro progetti pilota di Borgo Card
1) Borgo mob
È in fase di progettazione un sistema di app che migliorano i percorsi e la mobilità all’interno della città e il team Borgo Card sta progettando il sistema insieme ai commercianti e agli abitanti attraverso una serie di meeting e workshops.
2) Borgo idea
Sistema di app per la partecipazione e responsabilizzazione civica (per esempio una app che permette al cittadino di segnalare idee su come rigenerare uno spazio pubblico). 
3) Borgo farm
Creazioni di gruppi per il giardinaggio collettivo e di urban farming per lo sharing di competenze e per impiegare la popolazione anziana.
4) Borgo job
Come ridurre la disoccupazione e aumentare la connettività tra le persone? Una job bank che aiuta a trovare lavoro e una banca del tempo che favorisce lo sharing delle competenze. 
I progetti sono promossi all’interno di specifici quartieri delle città e prevedono la co-progettazione e la partecipazione attiva della comunità destinataria che diventa quindi anche produttrice dei propri servizi. 

 

venerdì 30 agosto 2013

CI CHIEDIAMO CHE FINE ABBIA FATTO IL SINDACO DI TARANTO PER FAVORE SE AVETE NOTIZIE SEGNALATECELO........

Da mesi mi chiedo che fine abbia fatto il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno. Certo, vivo a Roma da tanti anni e mi è più difficile seguire le vicende della MIA città, ma i giornali li leggo e a Taranto ci torno spesso.
L’altro giorno facevo una riflessione con un amico: per cosa verrà ricordato Stefàno?
Cito è stato il sindaco dei manganelli ai vigili, delle figuracce nazionali, del “Castellanet v’attocc” e tante altre pagine negative. Ma tanti tarantini ricordano cosa ha fatto, quasi come un italiano cita la nazionale dei mondiali ’82, ZoffGentileCabrini ecc…
Cito è quello che ha riportato in vita “a fundan” di piazza Ebalia, la villa Peripato, la pineta Cimino, la nuova strada per Talsano-Lama, ha introdotto la pulizia periodica delle strade.  Certo il mio non vuole essere un elogio di quegli anni, ma quanto scritto sopra resta e forse a Taranto serviva (e serve ancora?) un uomo forte. Uno che in una notte fa migliaia di multe alle auto sui marciapiedi, ti fa bestemmiare ma che poi ti educa. E da allora, infatti, non se ne vedono più di auto parcheggiate con le ruote sui marciapiedi.
La Di Bello certamente verrà ricordata negativamente per averci lasciato il dissesto e per altre “opere creative” come i giochi di luce delle fontanelle a mare. Ma è anche quella che ha ricostruito il salotto di Taranto. Anche qui il mio giudizio è negativo, ma Cito e Di Bello avevano entrambi un disegno di città, un progetto, anche se discutibile.
E Stefàno? Ci ha fatto uscire dal dissesto (ma forse sarebbe più corretto dare i meriti ad alcuni suoi assessori come Dante Capriulo durante il primo mandato) e ha fatto qualche rotatoria. Ricordate, e ricorderemo in futuro, altro? Sulla vicenda Ilva ci sarebbe stato tanto bisogno di un sindaco vero, che fosse in grado di rappresentare la città e di unire le ragioni dei lavoratori e degli ambientalisti e invece anche qua il sindaco è stato assente. Ingiustificato. La città è sporca come mai, abbandonata a se stessa, cultura zero, buche ovunque. Gli autobus sono un miraggio e lui pensa di risolvere con corsie preferenziali per il nulla e cordoli che fanno solo danni come in città vecchia.
Da metà maggio Gianni Liviano si è messo a capo di un progetto che sappiamo tutti è pressoché impossibile, quello di Taranto Capitale della Cultura 2019. Un progetto che molti hanno criticato (a Taranto funziona tutto così) e che certamente poteva essere ancora più srutturato, ma che il buon Liviano ha portato avanti senza avere un minimo aiuto dal sindaco. Anzi, dopo essersene finora disinteressato, il sindaco toglie la delega a Liviano.
Di un sindaco così Taranto non ha bisogno e spero se ne liberi quanto prima perché più si va avanti più rischieremo di avere addirittura nostalgia di Cito e allora ci andrà bene non solo il figlio, ma anche il suo piranha.

Ilva, scoperti in Inghilterra altri 700 milioni di euro riconducibili ai Riva Secondo i magistrati i Riva avrebbero sottratto i soldi all’Ilva spa e alla holding di famiglia e si apprestavano, secondo quanto emerso dalle indagini, a nuovi spostamenti per sfuggire ai provvedimenti della magistratura di Taranto. La notizia riportata da IlSole24Ore

Sale a quasi due miliardi di euro il tesoro della famiglia Riva ritrovato dalla Guardia di finanza di Milano nell’isola di Jersey, in Inghilterra. Dopo il sequestro da 1,2 miliardi di euro del 22 maggio scorso, infatti, secondo Il Sole 24 ore gli investigatori sarebbero riusciti a scovare altri 700 milioni di euro nel paradiso fiscale nel Canale della Manica. Il tesoro sarebbe stato scoperto in una nuova rete di società (trust) che farebbero capo ad Emilio Riva, al fratello Adriano, entrambi indagati dalla procura di Milano, e ai loro otto figli. Denaro che secondo i magistrati i Riva avrebbero sottratto all’Ilva spa e alla holding di famiglia Riva Fire e sui quali i Riva si apprestavano, secondo quanto emerso dalle indagini, a nuovi spostamenti per sfuggire ai provvedimenti della magistratura diTaranto. Il gip Fabrizio D’Arcangelo, infatti, nella sua ordinanza di sequestro preventivo scrisse che l’obiettivo era “modificare la giurisdizione dei trust per effetto delle iniziative dell’autorità giudiziaria di Taranto” che infatti giunse una settimana dopo il sequestro milanese. Fu il gip Patrizia Todisco, su richiesta del pool guidato dal procuratore Franco Sebastio, il 24 maggio a disporre un sequestro per equivalente da oltre 8 miliardi di euro, ma gli accertamenti delle fiamme gialle ioniche, però, hanno rivelato che nelle casse delle società Riva Fire e Riva Forni Elettrici vi erano poco più di 250mila euro.
Ma i nuovi accertamenti dei finanzieri lombardi, coordinati dai pm Mauro Clerici e Stefano Civardi, hanno anche ricostruito l’esistenza della Master Trust, una nuova società che si aggiungerebbe alla complessa struttura con la quale i proprietari dell’Ilva hanno occultato il denaro necessario per rendere ecocompatibile la fabbrica di Taranto, dalla quale, secondo i periti, si diffondono “malattie e morte”. Le indagini degli inquirenti milanesi, intanto, proseguono: in questi giorni, infatti, dovrebbe tenersi un incontro tra i magistrati italiani e quelli inglesi per approfondire gli elementi raccolti fino a questo momento. L’incontro dovrebbe svolgersi a Londra, la stessa città nella quale si trova Fabio Riva, uno dei figli di dell’87enne Emilio, che attende la decisione della magistratura inglese sulla richiesta di estradizione formulata dall’autorità giudiziaria tarantina che lo ha indagato per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale. Un’indagine che oramai punta alla chiusura. Sul tavolo degli inquirenti ionici pendono ancora le posizioni del “governo ombra” scoperto in fabbrica e quelle dei tanti – politici, funzionari e non – che sono comparsi nell’indagine denominata “ambiente svenduto”.

I Google Glass di nuovo in sala operatoria Utilizzati da un chirurgo dell’Ohio per operare i legamenti, ed è il secondo nella storia dopo quello allo stomaco

MILANO – In pochi mesi è già il secondo intervento chirurgico svolto portando in sala operatoria l’ultimo e più chiacchierato – soprattutto per le sue potenzialità – devicetecnologico: i Google Glass, occhiali per vivere esperienze di realtà aumentate, che nei giorni scorsi hanno accompagnato un ortopedico alla prese con i legamenti di un paziente e che sono stati il mezzo per trasmettere una lezione in diretta ai suoi studenti di medicina. A giugno invece, sempre negli Stati Uniti era stata la volta di un intervento allo stomaco, con tanto di ripresa video in tempo reale visibile sul blog del dottore che li indossava.
L’INTERVENTO IN REAL TIME – Il protagonista del secondo intervento chirurgico con i Glass addosso è il dottor Christopher Kaeding, ortopedico dell’ospedale Central Ohio di Columbus, nello stato americano omonimo. La scorsa settimana ha deciso di affrontare un intervento per lui considerato di routine, la ricostruzione chirurgica del crociato anteriore di un paziente, un’operazione per lui semplice, ma non per gli studenti in medicina che seguono i suoi corsi e anelano a un posto in sala operatoria al suo fianco. Ecco perché l’ortopedico ha deciso di filmare l’intervento ai legamenti con i Google Glass: grazie alla videocamera in essi incorporata e al collegamento internet ha così potuto portare virtualmente accanto a lui tutta una classe, facendo vedere come operare in tempo reale proprio come se i ragazzi fossero al posto del chirurgo. La classe invece, era comodamente seduta in aula, a qualche miglia di distanza, nelle aule della facoltà di medicina della State University di Columbus, davanti a un megaschermo che proponeva l’intervento in diretta.
GLASS PER LA MEDICINA – In verità il dottor Kaeding ha usato i Google Glass, ormai in commercio dalla scorsa primavera a circa 1500 dollari per gli sviluppatori, usufruendo di una delle loro potenzialità più comuni: filmare il mondo che scorre davanti agli occhi di chi li indossa, condividendo le immagini poi in diretta o in differita con altri utenti, scaricandole su altri apparecchi (tablet, Pc, smartphone), pubblicandole online su social network o siti dedicati. In questo caso, quello del filmare un intervento, i Glass possono aiutare ad aprire in diretta consultazioni con l’équipe medica che magari non è presente in sala, ma anche a creare materiali di archivio utili ai fini della ricerca. Mentre i Glass, se usati dai dottori costantemente, potrebbero aprire la porta a cartelle cliniche dei pazienti da poter consultare al volo quando questi si trovano davanti al malato, richiamando magari quei raggi o il risultato di una TAC dagli archivi ospedalieri.
IL PRECEDENTE – Già a giugno nel Maine un dottore aveva filmato e trasmesso in diretta un intervento allo stomaco di endoscopia, in quel caso riuscendo anche a collegare le immagini a un gruppo di discussione via chat su Google attivato tra colleghi. Quella volta come nel caso più recente in Ohio, il problema della privacy della persona tenuta in cura è stato opportunamente studiato, e il dottore non ha mai ripreso il viso né parti riconoscibili del paziente operato. Ma a maggior ragione nei casi di malattia, i Google Glass pongono nuovamente in discussione quanto il loro uso possa ledere i diritti personali di chi viene filmato e registrato. Anche in sala operatoria.

giovedì 29 agosto 2013

550 EURO SOLO DA ONEPOINT VIA CAVALLOTTI 61 iPAD RETINA WI-FI +4G 64GB

Apple Retina Wi-Fi + Cellular 64GB, iPad. Processore: A6X. Capacità di memoria totale: 64 GB, Tipologia disco rigido: Flash. Dim. diagonale schermo (pollici): 246.4 mm (9.7 "), Risoluzione: 2048 x 1536 Pixels, Tecnologia display: IPS. Risoluzione fotocamera principale: 5 MP, Risoluzione seconda fotocamera: 1.2 MP. Frequenza di risposta: 20 - 20000 Hz

mercoledì 28 agosto 2013

VIDEO TRAVAGLIO SU ILVA TARANTO PER NON DIMENTICARE


Commissariata la banca dei trulli: rapporti sospetti col prestanome di Messina Denaro Gli inquirenti fanno luce su conti correnti e movimenti di denaro alla Bcc di Alberobello e Sammichele, nel cui cda siede un'imprenditrice legata professionalmente al prestanome del ricercato numero uno di Cosa nostra. Indagano quattro procure, nel mirino anche esponente di Confindustria

C’è un linea retta che da Alberobello, la città dei trulli, in Puglia, conduce direttamente aCastelvetrano, in Sicilia. E’ da qui che il boss Matteo Messina Denaro sarebbe riuscito ad infiltrarsi direttamente dentro la Banca di Credito Cooperativo di Alberobello e Sammichele. Una storia complessa quella dei soldi di Cosa Nostra finiti nella piccola banca di provincia pugliese, un puzzle intricato fatto di conti correnti gonfiati, soci più o meno occulti, prestanome di Cosa Nostra e imprenditori rispettati. Un intrigo che ha focalizzato l’attenzione della Banca d’Italia e su cui oggi indagano quattro procure, quelle di Bari, Lecce, Trapani e Roma. Un caso potenzialmente esplosivo quello della Bcc di Alberobello, sul quale gli inquirenti tengono le bocche cucite: segno che le indagini conducono in alto.
Da mesi nei movimenti interni alla banca della città dei trulli qualcosa non quadrava. Non tornavano soprattutto due cose: alcuni nomi ed alcune cifre. Se ne erano accorte le procure di Bari e di Trapani, da mesi impegnate in indagini congiunte, e se ne è accorta la Banca d’Italia, che il 19 giugno ha chiesto – e ottenuto – al Ministero dell’Economia il commissariamento della banca. Tra i consiglieri d’amministrazione in carica prima di quella data c’era infatti un nome che magistratipugliesi e siciliani avevano cerchiato di rosso: quello di Maria Grazia Susca. Il file rouge che conduce l’ombra del boss di Castelvetrano fino al caveau della Bcc di Alberobello sarebbe rappresentato proprio da questa signora pugliese, che prima di entrare nella stanza dei bottoni della banca, era titolare della Smg costruzioni, una società edile attiva soprattutto in Sicilia.
Che ci faceva la signora Susca con un’azienda edile sull’isola? Se lo sono chiesti i magistrati pugliesi nello stesso momento in cui i loro colleghi siciliani prendevano carta e penna per tracciare una linea retta tra la Smg, il nome della Susca, ed un altro nome, ben più noto: quello di Vito Tarantolo, imprenditore originario di Gibellina con alle spalle un patteggiamento per favoreggiamento, considerato dalle procure di Trapani e Palermo vicino a boss di Cosa Nostra del calibro di Vincenzo Virga e Matteo Messina Denaro. Tarantolo in Sicilia è un nome noto: imprenditore con decine di appalti milionari vinti (dal sempre incompiuto monumento Garibaldi a Marsala fino ai lavori all’aeroporto di Palermo), è finito nei guai quando gli investigatori hanno trovato il suo nome annotato nei pizzini rinvenuti nell’ultimo covo del boss Salvatore Lo Piccolo.
Da lì sono partite le indagini che hanno portato al sequestro di beni per 25 milioni di euro: secondo gli investigatori, Tarantolo era solo un prestanome di Matteo Messina Denaro, vero proprietario delle varie attività gestite dall’imprenditore di Gibellina. Una della numerose aziende controllate da Tarantolo era proprio la Smg, già della Susca, e poi venduta a due uomini vicini all’imprenditore siciliano: Giuseppe Ruggirello e Ferdinando Sortino. Che ci fa una ex socia del prestanome di Messina Denaro nel cda di una banca? Una connessione inquietante, dato che si scopre anche come la Susca potesse fare operazioni sul conto corrente aperto dalla sorella alla Bcc di Alberobello: un conto su cui transitano più di due milioni di euro.
Una bella cifra visto e considerato che la sorella della Susca è una semplice impiegata. Di chi sono allora quei soldi? E perché nessuno alla Bcc segnala l’anomalia come previsto dalle norme antiriciclaggio? Mistero. Ed è proprio per risolvere l’enigma che i magistrati trapanesi segnalano il caso della Bcc di Alberobello a Bankitalia, che aveva già acceso i riflettori sull’istituto di credito pugliese. Da lì – come racconta l’edizione pugliese di Repubblica – arriva la richiesta di commissariamento dei vertici della banca. Ma i colpi di scena a base di conti correnti gonfiati e nomi noti sono soltanto all’inizio. Perché alla Bcc di Alberobello ha un conto corrente aperto anche la Azzurra Costruzioni, società partecipata dalla stessa Susca, e da suo cognato, Cosimo Damiano Romano. Altro nome molto conosciuto, questa volta però al di là dello Stretto, a Taranto, dove Romano è uno degli astri nascenti di Confindustria. Stimato e rispettato nell’ambiente imprenditoriale, Romano dovrà spiegare perché sui conti della Azzurra costruzioni circolavano somme molto superiori rispetto al fatturato registrato dall’Azienda negli ultimi anni. Di chi sono quei soldi? E perché al centro di questo intrigo fatto di conti correnti sospetti, società riconducibili a prestanome di Cosa Nostra e a pezzi da novanta di Confindustria, figura sempre lo stesso nome, quello di Maria Grazia Susca? Sulla vicenda tutti i magistrati a capo delle procure impegnate nelle indagini si sono stretti in un perentorio no comment: segno i caveaux della banca di provincia che piaceva tanto a Messina Denaro hanno ancora parecchi misteri da svelare.

STORIA DI TARANTO Dove è ora campagna, lì fu la capitale della Magna Grecia; dove è Taranto, là sorgeva una rocca ardita; tu Quinto Fabio Massimo, voi Goti e Saraceni non gloriatevi. Distruggeste crudelmente la città, ma potevate annullare le sue delizie, lo straordinario spettacolo della natura?

La cronologia tradizionale assegna la data della fondazione di Taranto al 706 a.C. Le fonti tramandate dallo storico Eusebio di Cesarea, parlano del trasferimento di alcuni coloni Spartani in questa zona per necessità di espansione o per questioni commerciali. Questi, distruggendo l'abitato indigeno, portarono una nuova linfa di civiltà e di tradizioni. La struttura sociale della colonia sviluppò nel tempo una vera e propria cultura aristocratica, la cui ricchezza proveniva, probabilmente, dallo sfruttamento delle risorse del fertile territorio circostante, che venne popolato e difeso da una serie di "phrouria", piccoli centri fortificati in posizione strategica.
La leggenda racconta che nell'VIII secolo a.C., l'eroe spartano Falanto divenne il condottiero dei Partheni, cioè di quel gruppo di cittadini emarginati in quanto figli illegittimi, nati durante la guerra messenica, dell'aristocrazia al potere nella città di Sparta. Consultando l'Oracolo di Delfi prima di avventurarsi per mare alla ricerca di nuove terre, apprese che sarebbe giunto nella terra degli Iapigi, e che avrebbe fondato una città quando egli avesse visto cadere la pioggia da un cielo sereno e senza nuvole (in greco ethra). Falanto si mise in viaggio, fino a quando giunse nei pressi della foce del fiume Tara. Addormentatosi sul grembo della moglie, ella cominciò a piangere a dirotto, ripensando all'oscuro responso dell'Oracolo e alle difficoltà sopportate, bagnando con le sue lacrime il volto del marito. L'oracolo si era avverato, una pioggia era caduta su Falanto da un cielo sereno: le lacrime della moglie Ethra.
Sciolto l'enigma, l'eroe si accinse a fondare la sua città lì, presso l'insediamento iapigio di Saturo.
Il racconto di tale fondazione di ci è tramandata da Strabone, che a sua volta riferisce una versione più antica risalente ad Antioco di Siracusa, vissuto attorno al V secolo a.C.:
« Terminata la guerra contro i Messeni, gli Spartani che non avevano partecipato alla spedizione furono dichiarati schiavi e chiamati Iloti e i figli che erano loro nati durante la guerra li chiamarono Partenii e li privarono dei diritti dei cittadini. Ma essi, mal tollerando tale decisione (ed erano molti) tramarono una congiura contro i cittadini; questi, però, avutone il sospetto, vi infiltrarono alcune spie che, fingendosi amici, riferissero il modo in cui sarebbe avvenuta la rivolta. Tra i congiurati c'era anche Falanto, il quale passava per il loro capo, ma non era affatto d'accordo sulle modalità della congiura. Si convenne di muovere all'attacco durante le feste in onore di Giacinto, nell'Amicleo, quando Falanto si fosse messo in testa il pileo: i cittadini infatti si riconoscevano dalla folta capigliatura. Ma poiché le spie avevano segretamente riferito le decisioni prese da Falanto e i congiurati, all'inizio dei giochi l'araldo avanzò ed intimò a Falanto di non mettersi in testa il pileo. I congiurati si resero conto che la congiura era stata scoperta: alcuni fuggirono, altri invocarono la grazia. I cittadini, dopo averli invitati a stare di buon animo, li posero sotto custodia e inviarono Falanto all'oracolo di Delfi, per consultarlo sulla possibilità di fondare una colonia. L'oracolo rispose: «Satyrion ti diedi da popolare e la fertile terra di Taranto, e di essere sventura per gli Iapigi». Partirono, dunque, i Partenii con Falanto, e furono accolti dai barbari e dai Cretesi che già occupavano il luogo. »
(Strabone, VI, 3,2)
Un'altra leggenda, complementare, racconta della nascita della città risalendo a circa 2000 anni prima di Cristo, ad opera di Taras, uno dei figli di Poseidone. Taras sarebbe giunto in questa regione con una flotta, approdando presso un corso d'acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome: il fiume Tara. Sempre secondo questa leggenda, Taras avrebbe edificato una città che egli dedicò a sua madre Satyria o a sua moglie Satureia e che chiamò quindi Saturo.
Un giorno Taras sarebbe scomparso nelle acque del fiume e dal padre sarebbe stato assunto fra gli eroi.
L'antica Taranto ebbe un grande culto per il dio Poseidone e naturalmente nella città, non poteva non essere eretto un tempio dedicato a questa divinità. Più tardi, nel II millennio a.C., giunsero dal mare nuove popolazioni Arii, che, attratte dalla particolare conformazione della costa, costruirono le loro case su palafitte. Un po' alla volta gli Arii riuscirono a sottomettere le popolazioni locali ed a controllare tutto il territorio.  

L'età ellenistica



ntorno al 500 a.C. la città era governata da un istituto di tipo monarchico. È noto infatti un re tiranno di nome Aristofilide ed una conflittualità politica tale da provocare un gran numero di esuli.
L'ultimo re tarantino, legato ad una discendenza che prediligeva interessi di tipo esclusivamente agricolo, fu indotto per mentalità a tradurre erroneamente la grandezza della sua gente in potenza bellica. Per questo, continue furono le aggressioni condotte ai danni dei vicini Peucezi e Messapi, fino alla definitiva sconfitta subita da parte degli Iapigi nel 473 a.C., annoverata dallo storico greco Erodoto tra le più gravi sconfitte inflitte a popolazioni di stirpe greca. Questo evento provocò la crisi della classe aristocratica al potere, che non poté opporsi ad una rivoluzione istituzionale di tipo democratico, in quanto decimata dalla guerra: molti aristocratici furono uccisi e gli stessi Pitagorici vennero allontanati.
Nella prima metà del V secolo a.C. la città subì una profonda trasformazione urbanistica. Si costruì infatti una nuova cinta difensiva e si ampliò la superficie monumentale, che raggiunse il suo culmine con la costruzione di un imponente tempio dorico sull'acropoli.
La democrazia, tuttavia, confermò la politica aggressiva nei confronti del mondo esterno. Tra il 444 a.C. ed il 433 a.C., la città intraprese una guerra per il possesso della Siritide contro la coloniapanellenica di Thurii, conclusasi con l'accordo per la costituzione di una subcolonia mista di Thurini e Tarantini, che prese il nome di Heraclea, in cui, però, prevalse ben presto la componente dorica di Taranto.
Verso la fine del secolo, Taranto si allineò alla politica di Sparta e, in occasione della guerra del Peloponneso contro Atene, pur non coinvolta direttamente nel conflitto, negò nel 415 a.C. l'approdo alle navi della flotta ateniese dirette verso la Sicilia. Il periodo di maggiore floridezza della città corrisponde al governo settennale di Archita, che segnò l'apice dello sviluppo tarantino ed il riconoscimento della preminenza sulle altre colonie greche dell'Italia meridionale. Dal 343 a.C. al 338 a.C. i Tarantini, dopo aver fondato una serie di phrouria tra le quali Pezza Petrosa, si scontrarono ancora con i Messapi, rimediando una sconfitta che culminerà con la morte del Re spartano Archidamo III, accorso, nel frattempo, in aiuto della città. Nel 335 a.C., in occasione di una guerra contro i Lucani, i Bruzi ed i Sanniti, giunse Alessandro I d'Epiro detto il molosso, che riuscì a conquistare le città di BrentesionSipontoHeracleaCosentia e Paestum. Nel 303 a.C., allo scopo di frenare l'espansione di Taranto, i Lucani si allearono con Roma, che, tuttavia preferì concordare la pace; nei trattati stipulati fu inclusa una clausola in base alla quale veniva vietato alle navi romane di spingersi ad oriente oltre il Capo Lacinio.
Nel 282 a.C., Roma inviò una flotta composta da dieci navi in soccorso degli abitanti di Thurii, assediati dai Lucani; per raggiungere Thurii, i Romani dovettero oltrepassare Capo Lacinio e pretesero di ormeggiare nel porto di Taranto. La città era impegnata nei festeggiamenti in onore di Dioniso e la popolazione assisteva ai giochi nell'anfiteatro vicino al mare: viste all'orizzonte le navi romane, i Tarantini, che già odiavano Roma per le sue mire espansionistiche e per gli aiuti che aveva sempre prestato ai governi aristocratici, videro in questo arrivo una violazione del trattato del 303 a.C. e non esitarono, quindi, ad affrontarle con la propria flotta, riuscendo ad affondare quattro navi e a catturarne una e facendo molti prigionieri tra i Romani. Non appagati, marciarono contro la vicina Thurii, sopraffacendo il presidio romano e saccheggiando la città. Nonostante l'oltraggio subito, Roma non volle cominciare una guerra che avrebbe sicuramente richiamato nella penisola milizie greche o cartaginesi, pertanto inviò nella città come ambasciatore Lucio Postumio per chiedere con fermezza la restituzione della nave e dei prigionieri catturati, nonché l'abbandono di Thurii. Postumio fu accolto con dileggio e sarcasmo per il suo abbigliamento e per il greco incerto con cui si espresse. Avendo, inoltre, espresso delle minacce, per reazione i Tarantini invitarono l'ambasceria ad abbandonare subito la città e si racconta che in quell'occasione un uomo di nome Filonide, soprannominato "Kotylè" per il suo aspetto, orinò sulla toga di Postumio, che così ammonì la popolazione: "Per lavare quest'offesa spargerete una gran quantità di sangue e verserete molte lacrime".
La guerra fu dichiarata nel 281 a.C.

Le guerre contro Roma

Taranto strinse alleanza con Pirro, Re dell'Epiro, che inviò il suo luogotenente Milone con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti e obbligò i Tarantini abili alle armi ad arruolarsi.
Gli scontri tra Epiroti e Romani furono sempre durissimi e costosi in termini di vite umane: la famosa Battaglia di Heraclea del 280 a.C., che vide protagonisti il console romano Publio Valerio Levino e lo stesso Pirro, costò 7.000 morti, 2.000 prigionieri e 15.000 feriti ai Romani e 4.000 morti più un gran numero di feriti tra i greci. I successi degli Epiroti erano legati alla presenza degli elefanti da guerra, animali tanto imponenti, quanto sconosciuti fino ad allora ai Romani.
La lega tarantino-epirota colse ancora un successo nella Battaglia di Ascoli Satriano del 279 a.C., ma, nonostante queste iniziali vittorie, Pirro, consapevole della potenza e dell'organizzazione dei suoi avversari e desideroso di crearsi un dominio personale in Italia, invece di risolvere il conflitto si spostò in Sicilia. I Romani, nel frattempo, si riorganizzarono e trovarono le contromisure alla presenza degli elefanti, per cui le sorti delle battaglie successive si spostarono sempre più a loro favore, tanto che Pirro non poté che stipulare un trattato con cui si impegnava ad abbandonare l'Italia, a patto però che si lasciasse tranquilla Taranto.
Tuttavia, Roma tornò ben presto in campo contro i popoli del Mezzogiorno e Pirro fu nuovamente invitato a ritornare in Puglia. Le sconfitte di Pirro furono questa volta decisive, tanto che, dopo la disfatta di Malevento si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo), lasciando a Taranto solo una piccola guarnigione comandata da Milone.
I Tarantini l'aiuto di una flotta cartaginese con lo scopo di liberarsi del presidio epirota. Per tutta risposta, Milone consegnò la città al console romano Lucio Papirio Cursore che così cadde in potere dei Romani, che nel 272 a.C. ne fecero smantellare le mura, imposero un tributo di guerra e sottrassero tutte le armi e le navi. Tutto ciò che ornava Taranto (statue dell'arte greca, oggetti preziosi, pregevoli quadri) e qualsiasi oggetto di valore fu inviato a Roma, insieme ai matematici, ai filosofi, ai letterati, tra cui Livio Andronico, che tradusse in latino l'Odissea; il grande poeta Leonida, invece, riuscì a fuggire prima della capitolazione della città, ma da quel momento visse un'esistenza miserrima, morendo in esilio. Roma si astenne dall'infliggere a Taranto ulteriori punizioni e mise la città nel novero delle alleate, proibendole, però, di coniare moneta.
Moneta di Taranto durante l'occupazione di Annibale
Durante la seconda guerra punica, in seguito all'esecuzione di due prigionieri tarantini, colpevoli di aver tentato la fuga, nella città roprese vigore un certo sentimenti antiromano. Attraverso il tradimento di due cittadini, favorevoli all'arrivo dei Cartaginesi, Annibale riuscì nel 212 a.C. ad impadronirsi di Taranto e costrinse all'assedio i Romani, che non furono più in grado diusare la città come base logistica per le proprie truppe. Nel 209 a.C., il console romano Quinto Fabio Massimo si impadronì nuovamente di Taranto, questa volta grazie al tradimento di un ufficiale cartaginese. Nel 123 a.C. Gaio Gracco istituì una colonia nel territorio confiscato dallo stato romano. Dopo l'89 a.C., la comunità greca e la colonia romana confluirono in un'unica struttura amministrativa, il cosiddetto "municipium", segnando l'omologazione completa di Taranto nella Repubblica Romana.
Nell'occasione della stipula di uno storico patto tra Augusto e Marco Antonio nel 37 a.C., la città venne fornita di un acquedotto e di un anfiteatro. Il I secolo a.C.fu caratterizzato, nel complesso, da una sopravvivenza difficile e solo verso la sua fine si registrò una certa ripresa. La città mantenne un buon livello di vita urbana all'epoca di Traiano, durante il quale furono costruite le terme "Pentascinenses".

Il dominio bizantino 

Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, Taranto si avviò verso un periodo di decadenza lungo ed inesorabile, causato anche dallo sviluppo progressivo del porto di Brindisi. La popolazione assistette all'avvicendarsi dei Goti, dei Bizantini e dei LongobardiBelisario la occupò e la ripopolò, ma Totila con i suoi Goti la riconquistò, lasciandovi un forte presidio.
Il generale greco Narsete, successore di Belisario, sconfisse Totila e la rifece bizantina. Poi, nel 568 calarono i Longobardi, che la conquistarono nella prima parte del secolo successivo.
Nella primavera del 663 il basileus Costante II Eraclio sbarcò a Taranto e strappò ai Longobardi la città, le Murge, il Salento e il Gargano. Tornato l'Imperatore a Costantinopoli, i Longobardi ripresero la lotta, prima col duca Grimoaldo, e poi con il di lui figlio Garibaldo, che nel 686 riconquistò Taranto e Brindisi. Attorno all'anno 700 iniziarono le scorrerie dei Berberi, che dureranno ben oltre l'anno 1000.
L'inizio del IX secolo fu caratterizzato dalle lotte interne a quanto restava del potere dei Longobardi, che, nel frattempo erano stati annientati dai Franchi. Nell'840 un principe longobardo di Benevento fu tenuto prigioniero a Taranto, ma alcuni suoi sostenitori lo liberarono, lo riportarono a Benevento e lo proclamarono principe. Nel frattempo i Saraceni riuscirono ad assumere il controllo della città, istituendovi un emirato, che durò un quarantennio, e trasformandola in un'importante base navale e militare dalla cui partivano frequentemente navi cariche di prigionieri, destinati al mercato degli schiavi. Nell'850 quattro colonne saracene partirono da Taranto e Bari per razziare CalabriaCampaniaPugliaMolise e Abruzzo. Ancora, nell'anno 854, sempre da Taranto partì una spedizione guidata da ʿAbbās ibn Fāʾid che saccheggiò la provincia di Salerno. Nell'871, e, successivamente, nell'875, Taranto fece da base alle truppe saracene destinate al saccheggio della Campania e della Puglia.
L'imperatore bizantino Niceforo II Foca, in un manoscritto medievale, rappresentato con la sciabola sfoderata.
Nell'880 l'imperatore Basilio I il Macedone, deciso a riprendersi le terre pugliesi, inviò due eserciti guidati dai generali Procopio e Leone Apostyppes ed una flotta al comando dell'ammiraglio Nasar, le cose andranno per il verso giusto: bloccata la via del mare dalla flotta bizantina, i Saraceni al comando di ʿOthmān vennero sconfitti e Taranto sottratta al loro dominio.
Tra i primi atti del nuovo governo bizantino del generale Apostyppes vi fu la riduzione in schiavitù di quegli abitanti che si erano convertiti ai costumi islamici e l'accoglienza di coloni greci per ripopolare la città. La città continuava a subire le incursioni saracene: il 15 agosto 927, i musulmani guidati dallo schiavone Sabir, distrussero definitivamente quanto rimaneva dell'antica città greco-romana, infierendo contro i cittadini, massacrandoli senza pietà e deportando come schiavi inAfrica tutti i superstiti. I pochi che scamparono alla morte trovarono rifugio sulle Murge.
Nel 967, dopo quarant'anni, l'imperatore bizantino Niceforo II Foca, considerato il secondo fondatore di Taranto, cedendo alle reiterate pressioni dei superstiti, s'interessò alla città e decise di ricostruirla, edificando l'odierno Borgo Antico; in questa operazione sparirono gli ultimi resti della città antica e dell'acropoli, fece colmare il tratto costiero lungo il mar Piccolo per facilitare il lavoro dei pescatori, costruì un ponte su 7 arcate e ricostruì l'antico acquedotto romano su 203 arcate, che proprio attraverso il ponte, convogliava nella città le acque delle vicine Murge.
I pescatori, che avevano abbandonato la città, ripresero fiducia e tornarono a popolare la zona spianata sul mar Piccolo.
Nel 977 Taranto subì un nuovo attacco da parte dei Saraceni, guidati da Abū l-Qāsim ʿAlī che depredò la città e fece numerosi prigionieri, bruciando alcuni quartieri. Nel 982 fu base di partenza dell'esercito imperiale guidato da Ottone II, che venne poi sconfitto dai Saraceni di Abū l-Qāsim ʿAlī nella battaglia di Capo Colonna. Nella tarda primavera del 1042 vi sbarcò Giorgio Maniace, inviato dall'imperatore bizantino Michele V Calafato in un nuovo tentativo di consolidare il suo dominio; il generale riorganizzò le sue truppe prima di ripartire per l'Oriente, dopo aver provato a sottrarre la corona al nuovo imperatore Costantino IX Monomaco.

Il Principato di Taranto 

Conquistata dai Normanni con Roberto il Guiscardo, Taranto si accinse a diventare la capitale di uno dei più vasti e più potenti domini feudali del Regno di Sicilia. Alla morte di Roberto nel 1085, si accesero aspre rivalità tra Boemondo I d'Antiochia e Ruggero Borsa, i figli avuti rispettivamente dalla prima e dalla seconda moglie. Boemondo, figlio della prima moglie Alberada ripudiata dal marito, fu escluso dalla successione al ducato di Puglia, e decise pertanto di far valere i propri diritti con le armi, riuscendo ad impadronirsi di Oria e portandosi insieme ai sui seguaci nei territori di Taranto e di Otranto con frequenti scorrerie.
Onde evitare conseguenze più nefaste, e accondiscendendo alla richiesta fatta da papa Urbano II di deporre le armi, Ruggero stipulò con il fratello un accordo in base al quale concesse i territori di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Questo accordo non fece però desistere Boemondo dalla sua rivendicazione dei diritti usurpati alla primogenitura, e fomentando abilmente ribellioni in tutto il ducato, riuscì a diventare verso la fine del 1088 sovrano incontrastato del Principato di Taranto.
La sua successiva partecipazione alla prima crociata allestita contro i Turchi selgiuchidi in Terra Santa, condusse il porto di Taranto ad un lungo periodo di decadenza a vantaggio di quello di Brindisi.
In seguito alla sua morte avvenuta nel 1111, i successori furono prima il figlio Boemondo II d'Antiochia, e successivamente Ruggero II di Sicilia. Quest'ultimo, oltre a riconoscere la grande importanza geografica e politica del territorio, fu il primo ad investire con il titolo di principe il figlio secondogenito Tancredi. Il breve trono di Tancredi, fu ereditato da Guglielmo I di Sicilia, a partire dal quale il principato non fu più attribuito a principi di sangue reale fino al sopraggiungere degli Svevi.
Con l'arrivo degli Svevi, l'imperatore Federico II nominò principe di Taranto suo figlio Manfredi.
Nel 1266 Manfredi venne sconfitto nel corso della Battaglia di Benevento da Carlo I d'Angiò, la città passò quindi ai francesi e fu affidata al principe Filippo I d'Angiò. A quest'ultimo si deve lo sviluppo della città di Martina Franca (TA) nei primi anni del trecento: infatti ampliò il villaggio di profughi tarantini nato nel X secolo con il nome di San Martino, concedendo diritti e franchigie a quanti fossero venuti ad abitarlo.
Intorno al 1380Raimondo Orsini Del Balzo ritornò dall'Oriente ed occupò alcune terre appartenenti al padre Nicola Orsini. Alleandosi con Luigi I d'Angiò, riuscì ad ottenere i beni che gli spettavano per eredità, e sempre su consiglio dell'angioino, sposò nel 1384 la Contessa di Lecce Maria d'Enghien. Con questo matrimonio, diventò uno dei più potenti feudatari del Mezzogiorno. A lui si deve la costruzione nel 1404 della Torre di Raimondello, una massiccia torre quadrata e fortificata che vigilava l'ingresso in città dal Ponte di Porta Napoli. Nel frattempo gli Angioini erano stati definitivamente sconfitti nel 1399. Dopo la morte di Raimondello nel 1406, suo figlio Giovanni Antonio Orsini Del Balzo divenne principe di Taranto nel1414.
Nel 1465 il Principato di Taranto venne annesso al Regno di Napoli, entrando così a far parte del regno aragonese.

Il Regno di Napoli 

A causa delle costanti minacce portate dai Turchi e dai Veneziani, gli Aragonesi decisero di fortificare la città, costruendo il Castello Aragonese ed il suo fossato. Nel 1495Carlo VIII di Francia costringe alla fuga le truppe aragonesi, entrando senza difficoltà in città e impadronendosi del castello. Ma nel mese di ottobre dello stesso anno, Cesare d'Aragona mette sotto assedio Taranto per circa un anno e mezzo, costringendo questa volta i francesi alla resa. Per riconquistare il consenso del popolo tarantino furono concessi alcuni benefici, e la stessa Regina Isabella di Taranto partecipò ai sontuosi festeggiamenti organizzati nel castello ed in città.
Il 10 agosto 1497 venne incoronato re di Napoli Federico I, ma la ripresa delle ostilità da parte di Ferdinando II d'Aragona e di Luigi XII di Francia, forti del Trattato di Granada stipulato segretamente tra spagnoli e francesi ai danni degli Aragonesi l'11 novembre 1500, lo videro costretto a fuggire in Francia nel settembre del 1501, lasciando le responsabilità del regno al figlio appena dodicenne Ferdinando, principe vicario e duca di Calabria. Il 1º marzo 1502, nonostante il tentativo di organizzare una difesa dal castello della città, questi dovette cedere all'assedio degli uomini capitanati dal generale Consalvo di Cordova il Gran Capitano, che guidò l'invasione del regno dal sud della penisola dopo aver superato le resistenze degli Aragonesi in Calabria e nella Lucania. La popolazione si arrese a condizione di lasciar libero il giovane Principe aragonese, ma gli spagnoli non tennero fede al giuramento fatto sull'Ostia consacrata e lo mandarono invece prigioniero in Spagna, ospite forzato di Ferdinando II d'Aragona.
Con la perdita dell'indipendenza del Regno di Napoli, Taranto seguì le sorti di tutta l'Italia Meridionale, cadendo sotto il dominio spagnolo e diventando città demaniale. Nonostante la mancanza di fondi, si decise di fortificare la città, mentre lungo tutta la costa del mar Grande si costruirono numerose torri costiere di avvistamento.
Il pericolo rappresentato dai Turchi infatti, non cessò mai di venir meno: per circa sei mesi nel 1594, essi stazionarono indisturbati sulle Isole Cheradi nel golfo di Taranto, e approfittando della momentanea debolezza degli Spagnoli, tentarono più volte di attaccare il castello, ma furono prima respinti e poi definitivamente sconfitti dal popolo tarantino nei pressi del fiume Tara.
Agli inizi del Seicento, la situazione economica della città si aggrava inesorabilmente: Taranto non costituisce più una base militare importante, e le stagnanti attività della pesca e della mitilicultura, nonché l'attività agricola nelle mani della nobiltà e del clero, determinarono una grave crisi economica che culminò nell'insurrezione popolare del 1647. In concomitanza con i moti di Napoli, il re Filippo IVpretese l'arruolamento dei giovani di circa 18 anni. Scoppiò allora anche a Taranto una rivolta popolare guidata da Giandonato Altamura, sedata grazie all'intervento del duca Francesco II Caracciolo di Martina Franca, al quale gli spagnoli avevano chiesto aiuto: il Caracciolo fece finta di attaccare Taranto dalla parte del Ponte di Porta Napoli, ma la maggior parte del suo esercito attraversò il Castello Aragonese dalla parte opposta, attraverso la "Porta Paterna" aperta dagli Spagnoli, e poté così sorprendere il popolo in rivolta alle spalle. Altamura si arrese e fu condannato all'impiccagione su un torrione del castello.
Dalla seconda metà del secolo, la Spagna comincia ad interessarsi maggiormente alle sue colonie dell'America centro-meridionale dalle quali ricavava oro e argento, tralasciando invece quelle delMediterraneo.
Fortificazioni del Borgo Antico (XVI secolo)
Agli inizi del settecento, con l'arrivo a Napoli degli Austriaci, i Tarantini accolsero con entusiasmo la notizia dell'insediamento degli Asburgo presso il castello. Tuttavia nel 1734, gli Spagnoli rioccuparono Napoli con Carlo III, ed il Sindaco di Taranto Luigi Galeota venne nominato Regio Governatore e Castellano. In quegli anni le fortificazioni della città sono in completo stato di abbandono: solo infatti nel 1755 si cominciò a riparare il Castello Aragonese, mentre nel fossato che si estendeva dalla Torre Sant'Angelo alla Torre della Bandiera, si realizzò un giardino con alberi da frutto. Qualche anno dopo, il nuovo Arcivescovo di Taranto Monsignor Giuseppe Capecelatro, cominciò a raccogliere presso la sua villa i numerosi reperti archeologici sparsi per la città, tentando così di fondare un primo museo. Passata successivamente ai Borboni e incorporata nel Regno delle Due Sicilie, Taranto aderì nel 1799 alla Repubblica Partenopea, fino al ritorno al potere del Re di Napoli Ferdinando IV.

Il Regno d'Italia

Fu nel periodo napoleonico, e grazie all'opera di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, che la città riacquistò importanza marittima e militare. Nel 1806, Napoleone Bonaparte istituì il Ducato di Taranto, che comprendeva Taranto, Ceglie MessapicaGrottaglieLeporanoOstuniCarovignoSan Vito dei NormanniSavaOria e Francavilla Fontana. Furono infatti costruite nuove caserme e fortificazioni, come il Forte de Laclos sull'Isola di San Paolo.
Il 9 settembre 1827, un'alluvione provocò danni a molte case e alle mura che cingevano la città, allagando le campagne circostanti e trascinando a mare interi armenti, distruggendo tutti gli insediamenti dimitili del mar Piccolo e causando una lunga carestia.
Con il ritorno dei Borbone, che non le attribuirono mai l'importanza che meritava, Taranto conobbe nuovamente un lungo periodo di abbandono, fino a quando le truppe di Giuseppe Garibaldi la occuparono nel 1860.
In seguito all'incorporazione di Taranto nel Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia avvenuta nel 1861, i Tarantini Cataldo Nitti e Nicola Mignogna si adoperarono per il suo rilancio sia marittimo, sia militare, contribuendo a far assumere alla città una nuova fisionomia.
Venne infatti istituita la Base Navale con l'Arsenale Militare Marittimo, venne abbattuta la parte occidentale del Castello Aragonese e trasformato l'antico fossato in un canale navigabile, le cui due sponde opposte saranno congiunte dal Ponte Girevole, dando finalmente inizio all'espansione oltre il canale con nuove costruzioni edilizie.
Il 15 settembre 1883, una seconda e ben più memorabile alluvione colpì ancora una volta il Borgo Antico. Si legge in un resoconto del giornale dell'epoca "Rinnovamento di Taranto":
"Questa notte, dopo un temporale durato parecchie ore, con lampi, tuoni, fulmini ed acqua torrenziale, il livello del mar Piccolo si è elevato di quasi 3 metri. Quindi tutta la Piazza Grande e Via Garibaldi, le case e le botteghe a piano terreno sono rimaste inondante a più di un metro sott'acqua. In piazza e la su indicata via si eseguiva il salvataggio per mezzo di barche. Ma i danni sono stati moltissimi. La violenza della corrente che si riversava con impeto indicibile, dall'uno all'altro mare, ha completamente abbattuto il gran Ponte di Napoli, e la Cittadella, battuta alla base dalla violenza dell'acqua, minaccia rovina, sicché si è dovuto ordinare l'immediato sgombero di tutti gli abitanti. Anche Porta Lecce è pericolante e s'è impedito il passaggio delle persone. Questo improvviso disastro ha gettato la città nella desolazione. Pare vi siano parecchie vittime. Pare che le sciaie delle ostriche e delle cozze abbiano immensamente sofferto, se pur non sono state distrutte totalmente. Tutti i terreni circostanti al mar Piccolo sono devastati, inondati, irriconoscibili. Quanta sventura! Quanta miseria che si prepara! La Giunta si è costituita in permanenza. Un servizio di barche è stato organizzato dalla batteria Carducci alla Stazione. Si provvede a togliere l'acqua da Via Garibaldi per mezzo di pompe atteso l'altezza del livello del mare le cui acque rigurgitano dalle chiaviche e dai pozzi all'interno delle case. A memoria d'uomo non si ricorda un fatto simile, il quale dimostra o che le leggi della natura si sono alterate o che l'anno 1883 sia destinato a rimanere nella storia col nome di nefasto.".

Le guerre mondiali

Le spedizioni coloniali in Africa decise dall'Italia, furono vissute dalla città come grande opportunità economica, soprattutto in virtù della crisi che l'industria dei mitili e delle ostriche attraversò per via dell'epidemia di colera del 1910.
La prima squadra navale della Regia Marina
Il 24 maggio 1915 l'Italia decise di intervenire nella prima guerra mondiale, e Taranto assunse un ruolo di primo piano con il suo Arsenale e con i nuovi Cantieri Navali Franco Tosi, per la riparazione e la costruzione delle navi da guerra. Gli operai furono di conseguenza pagati meglio, ed il transito delle migliaia di soldati diretti al fronte migliorò le condizioni economiche dei commercianti, ma la guerra portò con sé anche un aumento dell'inflazione ed una diminuzione del potere di acquisto degli stipendi, al punto tale che la Regia Marina dovette provvedere al razionamento ed alla distribuzione dei generi alimentari. La guerra vera e propria fu però vissuta dalla città solo nella notte del 2 agosto 1916, quando un attentato fece esplodere la nave da battaglia Leonardo da Vinci nel mar Piccolo, causando la morte di 21 ufficiali, 42 sottufficiali e 186 marinai. Nel 1917 venne smontata la ringhiera in ferro della Villa Peripato e donata alla Patria. Alla fine della guerra, le condizioni economiche si rivelarono drammatiche, aggravate nel 1920 dalla chiusura dei Cantieri Navali. Il disagio economico scatenò inevitabilmente numerose dimostrazioni di protesta che sovente si conclusero con scontri violenti tra dimostranti e Polizia.
L'ascesa al potere di Benito Mussolini ed il Fascismo, condussero alla ripresa dei lavori nell'Arsenale e nei Cantieri Navali, per la riparazione e la costruzione delle navi destinate alle guerre coloniali, e ad un nuovo sviluppo della città dal punto di vista urbanistico. Nel 1929 si diede inizio alla demolizione del teatro"Alhambra" ed alla costruzione sulle sue macerie del Palazzo del Governo, inaugurato dallo stesso Benito Mussolini nel 1934. Nel 1937 invece, vennero completati i lavori di costruzione del Palazzo delle Poste e della Casa del Fascio, oggi sede dell'Intendenza di Finanza. Furono inoltre costruite numerose case di edilizia popolare nel Borgo Antico, nuovi stabilimenti balneari sorsero sul lungomare, e nella centrale Piazza della Vittoria venne costruito il Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale.
Nave Conte di Cavour parzialmente affondata
L'Italia entra nella seconda guerra mondiale il 10 giugno 1940, e la conseguente concentrazione nel mar Piccolo delle navi da guerra della Regia Marina, portò nuovo lavoro per l'Arsenale, ma tutti gli altri settori economici ripiombarono nella crisi, mentre la cittadinanza abbandonò lentamente la città per timore dei bombardamenti, trovando rifugio nei paesi della provincia. La notte dell'11 novembre 1940, storicamente conosciuta come "Notte di Taranto", gli aerosiluranti partiti dalla portaerei inglese Illustrious bombardarono la flotta italiana nel mar Piccolo, semiaffondando la corazzata Conte di Cavour, danneggiando gravemente le corazzate Littorio e Caio Duilio, e provocando 59 morti e circa 600 feriti. Solo due aerei britannici Swordfish furono invece abbattuti. Dopo questo episodio, la Marina da guerra italiana dovette ritirarsi da Taranto per rifugiarsi nei porti di NapoliLa Spezia e Genova, più sicuri ma più lontani dal principale teatro delle operazioni.
La caduta di Benito Mussolini ed il conseguente armistizio, portarono alla fuga delle truppe tedesche e alla presa di possesso della città da parte delle truppe alleate (Operazione Slapstick), che requisirono numerosi edifici pubblici per trasformarli in alloggi militari. Il 25 aprile 1945, l'annuncio della fine della guerra comunicato nella centrale Piazza della Vittoria, segnò l'inizio di una nuova era. Il 2 giugno 1946 nacque la Repubblica Italiana, e negli anni successivi Taranto cominciò ad affermarsi come importante centro industriale e commerciale grazie alla sua posizione strategica nel mar Mediterraneo, senza però abbandonare l'antica vocazione marinaresca e militare.

Il secondo dopoguerra 

Nel 1965 venne inaugurato dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il IV Centro Siderurgico "Italsider", uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa. Grazie a questa nuova realtà industriale, tra il 1961 ed il 1971, la città fece registrare un saldo migratorio sostanzialmente nullo ed un aumento della popolazione pari al 9,1%. Circa 30.000 agricoltori abbandonarono le campagne per diventare operai della grande industria o dell'indotto. Contestualmente il reddito procapite subì un incremento del 274%.
Con la contrattazione aziendale e nazionale dei metalmeccanici, fu costituito negli anni settanta un fondo destinato ad interventi pubblici e denominato "salario sociale", sovvenzionato con l'1% dei salari e degli stipendi. Si realizzarono grazie ad esso grandi progetti quali l'introduzione dei trasporti extraurbani per i pendolari, la realizzazione degli asili nido e delle scuole materne comunali, la creazione del centro di igiene ambientale e di microcitemia, nonché l'apertura dell'Ospedale "San Giuseppe Moscati".
Il 9 aprile 1993, la frazione di Statte si separò da Taranto, diventando comune autonomo e mantenendo i confini della precedente circoscrizione.
Il 25 giugno 2004 venne inaugurata in mar Grande la nuova Stazione Navale della Marina Militare Italiana, dotata di alcune infrastrutture NATO. Il 18 ottobre 2006 viene dichiarato ufficialmente il dissesto finanziario del Comune di Taranto, la cui giunta era guidata dal sindaco Rossana Di Bello. Le passività accertate ammontano inizialmente a 357.356.434 €, ma nel mese di marzo 2007, il capo della commissione di liquidazione del Comune, Francesco Boccia, dichiara una cifra pari a circa 637 milioni di euro.
Nel mese di luglio 2007, la riduzione dell'erogazione di acqua dalle fonti dell'Irpinia conseguente alle scarse piogge e nevicate dell'inverno trascorso, ha provocato in città un'emergenza idrica con inevitabili ripercussioni su parte dell'economia commerciale cittadina.[