TARANTO - «Voglio venire a Taranto, incontrare quanti trepidano per la salute e per il lavoro». Parole di Papa Francesco. Semplici e cariche di coinvolgimento. Quelle che hanno fatto breccia nei cuori di milioni di persone nel mondo e che ora agitano anche quelli dei tarantini. Il suo desiderio di visitare la città dei due mari espresso ieri al vescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, chiamato direttamente dal pontefice in udienza privata, ha fatto immediatamente il giro della città. Sul web si sono rapidamente moltiplicate le attestazioni d’affetto e gli inviti. Resta lo scoglio di un’agenda 2014 non ancora completa ma già ricca per Bergoglio di appuntamenti internazionali. Monsignor Santoro, non si è perso d’animo e, dopo l’invito spedito qualche tempo fa, ieri ha giocate tutte le carte a sua disposizione per portare Francesco nella città dove salute e lavoro sembrano ineluttabilmente destinati a fronteggiarsi. Il pontefice vuole esserci tra gli operai e gli ambientalisti, tra chi ha paura di morire di fame e chi ha paura di morire di tumore. E la sua visita potrebbe dare uno slancio significativo al lavoro di riconciliazione che monsignor Santoro sta portando faticosamente avanti dal 26 luglio 2012, giorno in cui la magistratura ha sequestrato l’area a caldo dell’Ilva e la città è piombata in un vortice di paura, rabbia e rassegnazione.
Il pastore della chiesa ionica ha ricordato come prima nel secolo scorso sono siano stati ben due i pontefici che hanno raggiunto Taranto. Prima Paolo VI, nel 1968, poi Giovanni Paolo II, nel 1989. Entrambi scelsero di varcare i cancelli dell’Italsider e di incontrare gli operai. Due periodi, due città e due papi diversi. Quella che incontra Paolo VI è una fabbrica nel pieno del suo vigore: maestranze vibranti nel loro «sogno siderurgico», orgogliose di essere protagoniste di un fenomeno produttivo unico e irripetibile nello scenario nazionale. Una classe operaia forte e coesa, cosciente dei propri mezzi, che cerca il dialogo ma sa essere anche aspra. Dinanzi a loro, in quella notte di Natale, papa Montini inizialmente ammette «la difficoltà a farci capire da voi» e poi lancia un messaggio di vicinanza e unione spiegando che «quanto più l’opera umana qui si afferma nelle sue dimensioni di progresso scientifico» e tanto più «più merita e reclama Gesù, l’operaio profeta». Ventuno anni dopo, la Taranto che abbraccia Giovanni Paolo II è completamente diversa. Inquinamento, tensione sociale, frammentazione culturale. La disoccupazione è passata dalle 15mila unità del ‘68 a 60mila: solo nell’indotto industriale in meno di cinque anni sono andati persi 10mila posti di lavoro. Karol Wojtyla si rivolge a operai nuovi, fragili. A quei giovani, che hanno studiato e che indossano la tuta blu senza l’orgoglio dei padri, lancia un monito di grande valore etico e sociale. «Promuovere la capacità produttiva di un complesso industriale - ammonisce Giovanni Paolo II - non è tutto, e non è neanche quello che più conta. Il valore e la grandiosità di un impianto di produzione non devono misurarsi unicamente con criteri di progresso tecnologico e di sola produttività o redditività, ma anche e soprattutto con criteri di servizio all’uomo». Non solo. Il papa polacco evidenzia «la grave situazione ecologica, con le sue preoccupanti ripercussioni sulla natura, sul patrimonio zoologico ed ittico e sulla vita quotidiana delle persone» e auspica che «le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicché l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo; saremmo tutti noi». Un appello inascoltato che oggi torna prepotente e, proprio come papa Wojtyla aveva annunciato, coinvolge tutti.
Parole che, a distanza di un quarto di secolo, non hanno minimamente smesso di essere attuali. Anzi. Il sequestro del 26 luglio 2012, le perizie epidemiologiche e ambientali, le lacerazioni tra operai e ambientalisti, il quadro etico e morale emerso dell’inchiesta «ambiente svenduto», dipingono ancora una volta una Taranto diversa, ma comunque pronta (e forse bisognosa) di incontrare un nuovo papa. Di perdonarsi e riconciliarsi. Come il Sudafrica di Mandela.lagazzettadel

Nessun commento:
Posta un commento